Corriere della Sera

Perché è una vittoria degli sportivi leali

- Di Daniele Dallera

Da oggi i bambini possono tirare un sospiro di sollievo, per esempio dormire tranquilli se i loro papà promettono «se studi, domani andiamo alla partita». Ci vadano, fiduciosi, felici, troveranno sulla loro strada un teppista da stadio in meno. Ventisei anni di carcere per Daniele De Santis, giudicato colpevole di omicidio volontario: è il primo grado, l’appello potrà raccontare forse un’altra verità. Per adesso, però, si prenda atto di una svolta, si accolga una pena severa, che non intende essere esemplare, perché la giustizia non deve impartire lezioni, ma sentenze ben motivate, giustifica­te dal reato commesso e dal danno recato. Si rifletta su questi 26 anni di carcere, così vicini all’ergastolo: vite annullate, la vittima, vite rovinate, il colpevole, in nome di una realtà che non ha nulla a che vedere col tifo, con una maglia da amare, con un campione da applaudire. Da oggi chi va allo stadio armato di coltelli, mazze, pistole, deve sapere che se userà questi mezzi, che rappresent­ano solo odio, troverà sulla sua strada prima le forze dell’ordine pronte ad intervenir­e e poi un giudice deciso a rinchiuder­lo là dove è giusto, per anni e anni. Basta con la frustrazio­ne dello sportivo, del tifoso innamorato e leale che dopo 1-2-3 daspo rivede, magari seduto accanto allo stadio, quel teppista che pochi mesi prima aveva accoltella­to un rivale. Lo stadio torni ad essere luogo di passione, teatro ospitale anche per bambini, nemico invece degli orchi ingordi di violenza, che nulla hanno a che vedere con gli ultrà. Questi, quelli veri, allo stadio ci vanno con la bandiera, non con coltello e pistola.

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