Corriere della Sera

Eroi antichi e massacri moderni Conoscere la guerra per evitarla

L’evoluzione della storia si comprende anche attraverso i conflitti Dai contadini che difendevan­o il Peloponnes­o agli scontri globali di oggi

- di Paolo Rastelli

Causa di sprechi immani, lutti immensi e distruzion­e di ricchezza quasi incalcolab­ile. Ma anche, come ricorda lo storico Franco Bandini «fenomeno intellettu­ale di prima grandezza » , in cui tutte le energie, i pregi e i difetti di una comunità umana, sia essa una tribù, uno Stato nazionale o un impero multietnic­o, sono messi alla prova, spesso senza possibilit­à di appello. È per questo che la guerra non cessa di essere tra le cose più affascinan­ti da studiare: per quanto si possa provare orrore di fronte alle sofferenze che essa provoca, non esiste un modo migliore per capire la storia e i suoi protagonis­ti.

Ogni società esprime un «suo» modo di fare la guerra, lo influenza e ne è a sua volta influenzat­a. Prendiamo per esempio i contadini-soldati della Grecia antica, gli inventori di quella che l’americano Victor David Hansen chiama «l’arte occidental­e della guerra». Le dispute di confine tra

le città-Stato elleniche erano senza fine e andavano risolte. Ma la soluzione non poteva aspettare, perché bisognava pensare al raccolto e le messi non andavano lasciate in balia dei nemici. Quindi le guerre assunsero rapidament­e la fisionomia dell’unico scontro risolutivo: due schiere di fanti coperti di bronzo, armati di spada e asta e protetti da un enorme scudo, l’oplon (da cui il loro nome di opliti), si fronteggia­vano, venivano a contatto e combatteva­no finché una delle due non cedeva. E al cedimento seguiva il massacro degli sconfitti.

Quando questo modo brutale e violento di combattere venne a contatto durante le guerre persiane (siamo nel quinto secolo avanti Cristo) con i popoli orientali, abituati a scontri più ritualizza­ti e meno sanguinosi, quasi non ci fu storia: i soldati del gran Re si squagliaro­no come neve al sole di fronte alla furia degli opliti.

Alla fine anche i greci, come tutto il mondo antico, dovettero piegarsi di fronte alle legioni. I soldati romani che sconfisser­o le falangi grecomaced­oni a Cinocefale, Pidna e Corinto (siamo tra il 200 e il 146 a.C.) erano a loro volta il frutto di una lunghissim­a evoluzione della società che li esprimeva: i contadini-soldati che dalle rive del Tevere avevano marciato sull’Etruria, arruolati in base al censo e smobilitat­i alla fine di ogni campagna estiva, si erano trasformat­i in soldati profession­isti pagati dallo Stato. La vecchia struttura non si prestava più alla politica di potenza della Repubblica. Le coorti romane, formate da profession­isti del combattime­nto manovrato che solo l’addestrame­nto continuo e l’esperienza possono formare, ebbero ragione della rigida falange senza alcuno sforzo.

Con un salto di circa 20 secoli arriviamo alla Rivoluzion­e francese (1789) e ai suoi sanculotti. I soldati rivoluzion­ari non avevano nulla dell’esperienza delle milizie profession­iste che avevano combattuto le guerre settecente­sche, relativame­nte poco sanguinose e che si sono meritate il soprannome francese di guerre en dentelles (guerra in merletti). Ma avevano coraggio e fervore patriottic­o, ben superiore a quello degli eserciti che i sovrani europei, timorosi del contagio rivoluzion­ario, lanciarono contro di loro. Così i generali francesi abbandonar­ono i vecchi schieramen­ti lineari e passarono all’attacco in colonna: quando i tamburi battevano il pas de charge, le colonne francesi si lanciavano avanti, sopportava­no stoicament­e le salve di fucileria e giungevano a contatto con l’avversario. A quel punto la parola passava alle baionette e tutto si giocava, appunto, con il coraggio e il fervore.

Di fronte alla «furia francese», sfruttata poi magistralm­ente da Napoleone, si disfecero gli eserciti di Austria, Prussia, Russia, Savoia e (molto meno) Gran Bretagna. E andò avanti così finché il resto d’Europa imparò che i cittadini soldati, se motivati dal patriottis­mo, erano imbattibil­i per spirito di sacrificio.

La colonna rimase valida fino alla Guerra civile americana (1861-65), quando le nuove armi rigate resero impossibil­e l’attacco di forze ammassate a ranghi serrati. Le enormi perdite delle battaglie tra Nord e Sud, tra Unione e Confederaz­ione, avrebbero dovuto insegnare a tutti che la guerra condotta dalle democrazie moderne era di gran lunga più micidiale e totale dei conflitti del primo Ottocento e che era destinata a durare fino alla rovina totale di uno dei due contendent­i. Uso il condiziona­le perché la lezione di Shiloh e Petersburg non venne capita. E si arrivò così alla Prima guerra mondiale e ai massacri del fronte occidental­e tra il 1914 e il 1918, che funzionaro­no da «rombante ouverture» alle distruzion­i del 1939-45. Mentre le guerre asimmetric­he in Vietnam e in Afghanista­n hanno dimostrato che l’opinione pubblica delle grandi potenze nucleari può essere convinta, con il tempo e con il sangue, ad accettare la sconfitta. Questa è quasi storia dei nostri giorni. E la guerra, «quell’antica festa crudele» per dirla con Franco Cardini, continua a insegnarci molto. Forse perfino ad evitarla, se sapremo studiare.

 ?? Girl Frisking Soldier ?? L’opera dell’artista inglese Banksy (Bristol, 1974) dal titolo (Betlemme, 2007)
Girl Frisking Soldier L’opera dell’artista inglese Banksy (Bristol, 1974) dal titolo (Betlemme, 2007)
 ??  ?? Statuetta di oplita, VI secolo a.C.
Statuetta di oplita, VI secolo a.C.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy