Corriere della Sera

Il rugby di O’Shea per risolvere l’emergenza Italia

Il nuovo c.t.: «Lavoro di squadra e fitness»

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Addio «spiritù» (Berbizier) ed «echilibr» (Brunel). Da ieri il mantra è «fitness» perché Conor O’Shea, l’irlandese di Limerick chiamato a rimettere in piedi il rugby tricolore, è un uomo giovane (45 anni), pragmatico, con un Master in Scienza dello Sport della United States Sport Academy e un passato di manager e allenatore di successo costruito in Inghilterr­a. Il nuovo c.t. si è presentato ieri a Milano e, parlando il più possibile in italiano, ha spiegato cosa l’ha spinto ad allenare una Nazionale uscita a pezzi dall’ultimo Sei Nazioni e cosa intende fare per rimettere insieme quei pezzi. Ha usato molto il «noi» e pochissimo l’«io», perché non si sente solo il c.t., ma il responsabi­le di un gruppo di lavoro che comprende i suoi assistenti (Catt e De Carli) e i tecnici delle franchigie e dell’Under 20 (Guidi, Crowley e Troncon).

«Sono qui perché sono convinto che in Italia ci siano ottimi giocatori. Il problema non è il talento, ma la forma fisica. Le partite dell’Italia si somigliano. Tutto bene per 20 minuti, perché c’è voglia e passione, poi alcuni cominciano a essere più lenti, meno efficaci e finiscono per morire sul campo negli ultimi 20 minuti. Qui dobbiamo lavorare, qui possiamo migliorare. Vincere? Certo che mi auguro di vincere, anche il Sei Nazioni, ma so che per vincere devi essere pronto fisicament­e e mentalment­e. E avere fortuna. E so che se non sei pronto, la tecnica non basta. Lo stile di gioco? Amo le squadre che usano la palla,

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