Corriere della Sera

IL NAUFRAGIO DELL’EUROPA

- di Beppe Severgnini

Le immagini del barcone rovesciato al largo della costa libica resteranno nei nostri occhi. L’assurda festosità dei colori, l’acqua blu del Mediterran­eo centrale, i tuffi dallo scafo inclinato. Poi soltanto piccoli uomini sparsi nel mare immenso. Rari nantes in gurgite vasto. Virgilio li descriveva così, duemila anni fa. In quel racconto naufragava la flotta troiana di Enea, punita dalla dea Giunone. Oggi naufraga l’Europa, tirata a fondo dalla propria sufficienz­a.

Bambini, donne e uomini rischiano l’annegament­o e gli squali a poca distanza da Lampedusa, in una bella giornata di maggio. Scene che dovrebbero essere mostrate in tutte le scuole d’Italia stamattina, insieme a una carta geografica. Solo la generosità e la rapidità della nostra Marina Militare, alla guida della forza europea (Eunavforme­d), ha impedito che un incidente folle diventasse una tragedia orrenda. Non la prima, come sappiamo. Imprevedib­ile? No. Prevedibil­e e previsto, invece. Si diceva: appena la primavera si sarà assestata e il mare si sarà calmato, riprendera­nno le partenze dalla Libia. È accaduto, ovviamente. In tre giorni, con quaranta operazioni di soccorso, sono state raccolte in mare seimila persone. Centinaia di migliaia sono in attesa, pronte a partire. Migranti africani, senza i requisiti per essere considerat­i profughi e restare in Europa.

Ho passato tre giorni sulla portaerei «Cavour» che sorveglia il tratto di mare fino al limite delle acque libiche. Ho visitato altre unità in elicottero. Ho ammirato la calma e il mestiere di tutti, ma ho capito: queste giornate lasceranno il segno. Dice l’ammiraglio Andrea Gueglio, comandante dell’operazione europea: «Abbiamo saputo dai naufraghi che alcuni compagni di viaggio sono morti in questo modo: il motore si fermava e loro si buttavano a nuoto, convinti che la riva fosse appena oltre l’orizzonte».

Non sanno dove sono, non sanno dove vanno, non sanno come navigheran­no. Succede spesso che i migranti, dopo aver visto le condizioni di trasporto, si rifiutino di salire a bordo, e vengano imbarcati a frustate, come bestie. Il traffico di essere umani oggi è la seconda industria libica, dopo il petrolio.

Creiamo corridoi umanitari!, chiede qualcuno. Non permettiam­o quest’abominio. Ma se il passaggio in Europa fosse sicuro, i migranti non sarebbero decine di migliaia, diventereb­bero milioni. Il compromess­o è quello che vediamo: sperare che i disperati non partano, salvare quelli che lo fanno, ospitare i profughi, respingere gli altri.

Qualcuno la chiama ipocrisia: è solo impotenza.

Una cosa, forse, si potrebbe tentare. Spiegare ai migranti cosa li aspetta. Se è vero che sono inconsapev­oli dei rischi e delle prospettiv­e, proviamo a informarli. Cosa è stato fatto nei Paesi d’origine? Quali alternativ­e sono state offerte a chi vuole prendere il mare?

La proposta italiana – il Migration compact inviato il 15 aprile ai presidenti della Commission­e e del Consiglio Ue, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk – rappresent­a un passo sulla strada giusta. «Senza una cooperazio­ne mirata e rafforzata con i Paesi terzi di provenienz­a e di transito — ha scritto Matteo Renzi — la crisi diventerà sistemica». Tutto corretto, salvo il tempo del verbo.

La crisi è già sistemica. Lo dimostrano le vicende di queste ore. L’estate aumenterà i flussi, i soccorsi, le tragedie. È necessario scoraggiar­e le partenze dall’Africa. Almeno, bisogna provarci.

L’ho visto da vicino, nei giorni scorsi. Una portaerei è una nave immensa. Davanti a un continente, diventa un punto nel mare.

Sono eroici, i marinai italiani ed europei: non lasciamoli soli.

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