«Piangevano per la felicità»
L’ammiraglio Vitiello guida la missione «Mare Sicuro»
ROMA Si direbbe che la commozione sia pari alla soddisfazione, nella voce dell’ammiraglio Salvatore Vitiello che giunge via radio dalla nave Bergamini, terminato il soccorso 20 miglia a Nord di Sabrata: «Quando è scattato l’allarme, alle 8.30, abbiamo lanciato la nostra nave di 6 mila tonnellate a una velocità di 25 nodi verso il luogo del naufragio, ma vi rendete conto? Una cosa esagerata, un mezzo miracolo...», esclama l’ammiraglio, che ha coordinato ieri mattina le operazioni e adesso è diretto verso Porto Empedocle, dove oggi (insieme all’altra nave impegnata nei soccorsi, la Bettica) approderà con il suo carico di umanità dolente: 5 cadaveri e 562 migranti strappati vivi al mare. «Sapeste che bello però — ed ecco anche la commozione nella sua voce — vedere tutti quei giovanotti dell’Africa subsahariana, ghanesi, ciadiani, nigeriani, somali, che una volta a bordo piangevano di felicità e abbracciavano i nostri marinai facendo V con le dita in segno di vittoria e gridando freedom, freedom. Libertà...».
Vitiello, 53 anni, è di Marina di Campo, Isola d’Elba, «concittadino di Teseo Tesei», ci tiene a dire: Tesei è l’inventore del siluro a lenta corsa, altrimenti detto Maiale, un mito per tutti gli incursori della nostra Marina militare. È lui, Vitiello, il comandante di «Mare Sicuro», la missione nata nel 2015 per proteggere gli interessi italiani (sulle piattaforme e sui pescherecci) dalle insidie libiche. «Si finisce spesso però col fare un altro lavoro — dice — perché il nostro primo comandamento è che in mare non si lascia mai nessuno da solo. E allora, quando c’è un sos, scatta sempre il primo grado d’approntamento: tutti all’opera, dall’ammiraglio all’ultimo
Al sicuro Sapeste che bello vedere tutti quei giovanotti africani fare V con le dita in segno di vittoria
uomo». Così è stato anche ieri: «Dalla nave Bettica, che era più vicina — racconta Vitiello — sono stati distribuiti subito i salvagenti ai migranti stipati su quel peschereccio fradicio di 12 metri, che imbarcava acqua dalla sentina e poi, infatti, è colato a picco: le 54 donne e i 15 bambini sono stati salvati per primi. Noi intanto avevamo inviato sul posto due gommoni superveloci e il nostro elicottero SH90, che ha lanciato in acqua 7 zattere Coastal autogonfiabili per 15 persone. Due militari si sono gettati in acqua da ogni gommone per aiutare quelli che non riuscivano a salire. Purtroppo per 5 ragazzi non abbiamo fatto in tempo». Di scafisti nessuna traccia, e il barcone è affondato: altrimenti sarebbe stato distrutto dalla nostra Marina com’è già successo a una cinquantina d’imbarcazioni in questi mesi, sottratte per sempre al business dei trafficanti d’uomini. Durante l’operazione, però, i naufraghi che si trovavano a decine sottocoperta sono venuti in superficie e si sono messi tutti su un fianco dello scafo, per l’ansia di salvarsi, facendolo rovesciare. «Con i gommoni e le zattere siamo comunque riusciti a strapparli dall’acqua. Ma non era ancora finita — continua Vitiello — perché all’orizzonte abbiamo visto un altro gommone stracarico di persone, perciò siamo andati di corsa anche da loro, facendoci aiutare dalla petroliera italiana Valle d’Aosta, diretta a Mellitah, che si è messa sottovento proteggendo il gommone dalle onde: 100 uomini e 8 bambini si sono aggiunti così ai 562 già in salvo. Pure a loro abbiamo dato latte caldo e coperte, mentre raccontavano di aver pagato ciascuno mille dollari per arrivare in Libia e altri mille per imbarcarsi... » . Dice l’ammiraglio che da 105 giorni non vede la terraferma. E quest’estate, purtroppo per lui, non si prevedono pause: «Ma noi siamo pronti — conclude —. Il mare è la nostra vita».