Corriere della Sera

«Piangevano per la felicità»

L’ammiraglio Vitiello guida la missione «Mare Sicuro»

- Di Fabrizio Caccia

ROMA Si direbbe che la commozione sia pari alla soddisfazi­one, nella voce dell’ammiraglio Salvatore Vitiello che giunge via radio dalla nave Bergamini, terminato il soccorso 20 miglia a Nord di Sabrata: «Quando è scattato l’allarme, alle 8.30, abbiamo lanciato la nostra nave di 6 mila tonnellate a una velocità di 25 nodi verso il luogo del naufragio, ma vi rendete conto? Una cosa esagerata, un mezzo miracolo...», esclama l’ammiraglio, che ha coordinato ieri mattina le operazioni e adesso è diretto verso Porto Empedocle, dove oggi (insieme all’altra nave impegnata nei soccorsi, la Bettica) approderà con il suo carico di umanità dolente: 5 cadaveri e 562 migranti strappati vivi al mare. «Sapeste che bello però — ed ecco anche la commozione nella sua voce — vedere tutti quei giovanotti dell’Africa subsaharia­na, ghanesi, ciadiani, nigeriani, somali, che una volta a bordo piangevano di felicità e abbracciav­ano i nostri marinai facendo V con le dita in segno di vittoria e gridando freedom, freedom. Libertà...».

Vitiello, 53 anni, è di Marina di Campo, Isola d’Elba, «concittadi­no di Teseo Tesei», ci tiene a dire: Tesei è l’inventore del siluro a lenta corsa, altrimenti detto Maiale, un mito per tutti gli incursori della nostra Marina militare. È lui, Vitiello, il comandante di «Mare Sicuro», la missione nata nel 2015 per proteggere gli interessi italiani (sulle piattaform­e e sui pescherecc­i) dalle insidie libiche. «Si finisce spesso però col fare un altro lavoro — dice — perché il nostro primo comandamen­to è che in mare non si lascia mai nessuno da solo. E allora, quando c’è un sos, scatta sempre il primo grado d’approntame­nto: tutti all’opera, dall’ammiraglio all’ultimo

Al sicuro Sapeste che bello vedere tutti quei giovanotti africani fare V con le dita in segno di vittoria

uomo». Così è stato anche ieri: «Dalla nave Bettica, che era più vicina — racconta Vitiello — sono stati distribuit­i subito i salvagenti ai migranti stipati su quel pescherecc­io fradicio di 12 metri, che imbarcava acqua dalla sentina e poi, infatti, è colato a picco: le 54 donne e i 15 bambini sono stati salvati per primi. Noi intanto avevamo inviato sul posto due gommoni superveloc­i e il nostro elicottero SH90, che ha lanciato in acqua 7 zattere Coastal autogonfia­bili per 15 persone. Due militari si sono gettati in acqua da ogni gommone per aiutare quelli che non riuscivano a salire. Purtroppo per 5 ragazzi non abbiamo fatto in tempo». Di scafisti nessuna traccia, e il barcone è affondato: altrimenti sarebbe stato distrutto dalla nostra Marina com’è già successo a una cinquantin­a d’imbarcazio­ni in questi mesi, sottratte per sempre al business dei trafficant­i d’uomini. Durante l’operazione, però, i naufraghi che si trovavano a decine sottocoper­ta sono venuti in superficie e si sono messi tutti su un fianco dello scafo, per l’ansia di salvarsi, facendolo rovesciare. «Con i gommoni e le zattere siamo comunque riusciti a strapparli dall’acqua. Ma non era ancora finita — continua Vitiello — perché all’orizzonte abbiamo visto un altro gommone stracarico di persone, perciò siamo andati di corsa anche da loro, facendoci aiutare dalla petroliera italiana Valle d’Aosta, diretta a Mellitah, che si è messa sottovento proteggend­o il gommone dalle onde: 100 uomini e 8 bambini si sono aggiunti così ai 562 già in salvo. Pure a loro abbiamo dato latte caldo e coperte, mentre raccontava­no di aver pagato ciascuno mille dollari per arrivare in Libia e altri mille per imbarcarsi... » . Dice l’ammiraglio che da 105 giorni non vede la terraferma. E quest’estate, purtroppo per lui, non si prevedono pause: «Ma noi siamo pronti — conclude —. Il mare è la nostra vita».

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