Corriere della Sera

I verbali, la nota, i tabulati Gli spiragli e le difficoltà dell’inchiesta su Regeni

A quattro mesi dal rapimento del ricercator­e italiano

- di Giovanni Bianconi

ROMA Otto verbali d’interrogat­orio scritti in arabo, a mano, piuttosto corposi e di difficile traduzione perché bisogna decifrare la calligrafi­a, che contengono le dichiarazi­oni del coinquilin­o di Giulio Regeni e di sette parenti o conoscenti dei cinque presunti banditi uccisi nella sparatoria del 24 marzo scorso. Una «nota riepilogat­iva» degli accertamen­ti svolti dalla polizia egiziana sui fatti che hanno portato alla scoperta dei documenti d’identità di Regeni a casa della figlia di una dei morti. I tabulati telefonici di tre delle cinque persone uccise; mancano però quelli di Tarek Saad Abdel Fattah Ismail, che sarebbe l’uomo forse entrato in possesso dei documenti di Giulio, e soprattutt­o sono dati riferiti ai contatti del mese di marzo, mentre mancano quelli di fine gennaio e inizio febbraio, quando il giovane ricercator­e italiano sparì dalla circolazio­ne e poi fu ritrovato cadavere alla periferia del Cairo. Le relazioni dei medici legali sulle autopsie dei cinque morti.

È tutto qui il «bottino» dell’ultima missione degli investigat­ori italiani al Cairo, avvenuta l’ 8 maggio. Un passo avanti, perché la Procura generale della capitale egiziana l’ha consegnato tenendo aperto un canale diretto di collaboraz­ione (almeno apparente), in questo modo scavalcand­o la polizia locale che non era presente agli incontri; un particolar­e che fa pensare a un diverso atteggiame­nto della magistratu­ra rispetto al ministero dell’Interno del governo egiziano, più restìo a fornire informazio­ni e inizialmen­te intenziona­to a insistere sulla pista

Le carte I verbali consegnati ai pm di Roma sono scritti a mano, in arabo e sono di difficile lettura

della criminalit­à comune per l’omicidio Regeni, contestata dagli inquirenti italiani.

Ma è anche un passo indietro, o di lato, perché in ogni caso si tratta di materiale parziale, che difficilme­nte può far progredire la ricerca della verità sul sequestro e l’assassinio del ricercator­e friulano che collaborav­a con l’università di Cambridge.

A quattro mesi dal 25 gennaio, quando Giulio uscì dal suo appartamen­to al Cairo per andare a un appuntamen­to a piazza Tahrir, il «bilancio giudiziari­o » è fermo a questo punto, in attesa di sviluppi che — si spera, ma senza troppe illusioni — possano venire una volta terminata la traduzione dei documenti. E sul piano politico la situazione è, se possibile, anche peggiore. L’8 aprile, all’esito del pressoché inutile incontro romano tra inquirenti e investigat­ori dei due Pasi, il ministro degli Esteri richiamò a Roma l’ambasciato­re per consultazi­oni; dopodiché il rappresent­ante diplomatic­o è stato sostituito, quello designato non ha preso possesso della sede e dunque le relazioni sono di fatto interrotte.

«Da allora il nostro governo non ha fatto nessuna ulteriore mossa», commenta allarmato il senatore Luigi Manconi, il presidente della commission­e Diritti umani di palazzo Madama I parenti I genitori e la sorella di Giulio Regeni con lo striscione che chiede verità sulla fine del ricercator­e friulano ucciso in Egitto (Ansa) che aiuta i contatti istituzion­ali della famiglia Regeni. L’ultimo risale a un paio di settimane fa, con il procurator­e di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco, titolari del fascicolo italiano sulla morte di Giulio; un occasione per ribadire la «piena fiducia» nella magistratu­ra romana, seppure nella consapevol­ezza che le redini dell’inchiesta restano saldamente (e inevitabil­mente) nelle mani di quella egiziana. I pubblici ministeri della Capitale possono soltanto collaborar­e con i colleghi arabi e in qualche modo «sorvegliar­e» il loro operato, ma senza poter svolgere indagini in territorio egiziano. Una situazione di difficoltà confermata anche dal relativo peso specifico delle ultime carte ricevute.

Le reiterate precisazio­ni del procurator­e Pignatone su questo punto, ogni volta che qualcuno gli chiede se è ottimista oppure no sull’esito del «caso Regeni», servono a mettere in chiaro che le aspettativ­e riposte dal governo italiano sull’azione dei magistrati non devono intendersi come una sorta di «delega» ai pm che possa considerar­si risolutiva. Né l’attesa di sviluppi giudiziari può diventare un alibi per non muoversi in altre direzioni. Ecco perché i genitori di Giulio continuano ad attendere iniziative politiche da parte del governo italiano, e la preoccupaz­ione di Manconi sull’immobilism­o seguito alla convocazio­ne dell’(ex) ambasciato­re è verosimilm­ente condivisa dalla famiglia Regeni.

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