«Una poesia inviata con WhatsApp Ecco perché hanno ucciso lo studente»
Delitto di Orune, in cella due ragazzi. L’accusa: volevano punire Gianluca per l’affronto
NUORO «Mi hanno dato il benvenuto 20 amici... per dare coraggio ad ogni forestiero che scende in fretta... e per rafforzare la compagnia, resta contento della cortesia». Poche righe in sardo stretto — questa è la sommaria traduzione in italiano — scritte da Mario Cherchi, poeta estemporaneo di Orune, e messe su WhatsApp hanno scatenato rabbia e sete di vendetta: erano totalmente prive di riferimenti a persone e fatti, ma Paolo Pinna si è identificato nel forestiero e ha creduto che il «benvenuto dei 20 amici» alludesse alla «lezione» che gli avevano impartito gli amici di Gianluca Monni. Schiaffeggiato, deriso, umiliato perché alla festa (inverno 2014) aveva importunato la fidanzatina di Gianluca. E, affronto estremo, gli avevano portato via anche una pistola: «Dai qui che non la sai usare».
Pinna, allora diciassettenne, ha letto la poesia e ha chiesto aiuto al cugino Alberto Cubeddu, di un anno più grande di lui. Insieme — è l’accusa di magistrati e carabinieri che li hanno arrestati — hanno freddamente architettato un piano: Gianluca Monni doveva essere ucciso, con un’esemplare spedizione punitiva a Orune. Serviva un’auto e una persona sulla quale far ricadere i sospetti. Pinna e Cubeddu hanno individuato il soggetto: Stefano Masala, 27 anni, buono, ingenuo e servizievole. Metteva l’auto a disposizione e c’era anche lui nel gruppo di giovani che avevano preso di mira la fidanzatina.
Poesia su WhatsApp a fine aprile 2015, Gianluca ammazzato l’8 maggio, mentre ripassava la lezione aspettando l’autobus per andare a scuola, a Nuoro. Tre fucilate al petto e la fuga su un’utilitaria scura come quella di Stefano. Del quale non si hanno più notizie dalla sera precedente: un barista l’ha visto con Paolo Pinna. Erano insieme sull’auto di Stefano, che ammiccava: «Ho un appuntamento con una ragazza». Invece era una trappola, Stefano è stato ucciso subito, il corpo forse sotterrato, la sua auto prima utilizzata per andare a Orune ad ammazzare Monni e poi bruciata.
Orune e Nule, paesi fra Goceano (provincia di Sassari) e Barbagia (Nuoro), distanti una ventina di chilometri e divisi da secolari rivalità e faide fra famiglie. «Omertà paurosa. Tutti sapevano, pochi hanno parlato», così Andrea Garau e Elena Pitzorno, procuratori a Nuoro e al tribunale dei minorenni. Silenzio persino dagli amici di Gianluca. «Non ho visto... Leggevo un libro... Spari? Non ho sentito... Giocavo col telefonino». Ma con le intercettazioni telefoniche, telecamere, satellitari e celle, è stata tracciata una mappa dei movimenti di Pinna e Cubeddu — difesi dai legali Agostinangelo Marras e Mattia Doneddu — e gli alibi sono crollati.
Duplice omicidio volontario premeditato, occultamento di cadavere, rapina e una fila di reati minori. Manca il corpo di Stefano. Lo cercano i reparti speciali dei carabinieri (colonnello Giuseppe Urpi, maggiore Marco Keten). «Lo aspetterò fino a che avrò vita» diceva la madre, Carmela Dore. È morta ieri. Ai funerali i figli hanno ricordate le ultime parole: «Che almeno ce lo restituiscano per poterlo piangere».