LE IDEE PER AFFRONTARE LA SFIDA TECNOLOGICA
La fabbrica intelligente Siamo in prossimità di un enorme cambiamento paragonabile all’introduzione del telaio a vapore, l’inizio della prima rivoluzione industriale. L’Italia deve sfruttare le sue debolezze e renderle un vantaggio competitivo
«Il punto non è stabilire se le macchine sono in grado di pensare; la domanda vera è se sono capaci di farlo gli essere umani». Fu un filosofo, l’americano Skinner, a porre cinquant’anni fa la questione che determinerà l’esito della quarta rivoluzione industriale che, secondo alcuni, sta per fondere tecnologie digitali e processi produttivi trasformando il funzionamento dei sistemi economici.
Quali possono essere gli effetti di questa mutazione sulla quantità di lavoro disponibile? È possibile che sia proprio questa accelerazione ad aver reso inefficaci tutti gli strumenti che i Paesi occidentali stanno usando da anni, per cercare di uscire da una stagnazione che qualcuno chiama secolare? Potrebbe l’Italia usare in questo mondo nuovo, a proprio vantaggio quelle che, oggi, appaiono sue debolezze strutturali?
La rivoluzione che da qualche mese domina l’agenda degli incontri tra capi d’impresa e di governo, è, in realtà, prodotta dalla convergenza di ben due trasformazioni che sono in corso da anni e che hanno marciato finora in parallelo.
Da una parte c’è Internet che — come successe con l’invenzione della stampa — ha ridotto di diversi ordini di grandezza i costi di accesso, elaborazione e trasmissione dell’informazione e che sta riallocando il potere che all’informazione è sempre legato. Dall’altra, gli avanzamenti meno clamorosi che stanno per rendere possibile intervenire sulle singole molecole per assemblare automobili e elettrodomestici. Nella fabbrica del futuro si produrrà non più togliendo materiale a pezzi di lamiera o di plastica lungo complicate catene di montaggio; ma attraverso computer silenziosi in grado di aggiungere singoli atomi ad un disegno tridimensionale costruito sulla base delle indicazioni di uno specifico cliente. Nel mondo in cui stiamo per entrare, ad essere connessi non saranno più solo computer ma oggetti, tutti gli oggetti su una scala sempre più microscopica; ed, infine, gli esseri viventi; i loro corpi che verranno sorvegliati e «riparati» a distanza e le loro menti realizzando, in una forma che neppure gli scrittori di fantascienza avevano previsto, il traguardo — favoloso e inquietante — dell’intelligenza artificiale.
Il salto produttivo sarà grande come quello che fu possibile quando alla fine del Settecento, il telaio a vapore incorporò la forza dell’uomo in una macchina segnando l’inizio della prima rivoluzione industriale. Ma non meno formidabile è il salto cognitivo che farà la differenza tra successo e fallimento per aziende, individui o nazioni: evapo- rano i confini tra settori produttivi (come dimostra l’accordo tra Google e Fiat Chrysler ed è forse la stessa distinzione tra servizi ed industria che sta perdendo senso) e tra aree di ricerca e di studio; molti lavori — virtualmente tutti quelli che sono riproducibili in una routine — stanno scomparendo ( la metà di quelli oggi esistenti secondo uno studio dell’università di Oxford del 2013) e bisognerà inventare un welfare nuovo per evitare che il processo già in corso — quello della scomparsa della classe media — generi conflitti rovinosi; mentre stanno già nascendo le imprese nuove, capaci di mettere insieme competenze ed intuizioni diverse per ridisegnare il modo in cui ci muoviamo, ci nutriamo e curiamo la salute, conserviamo cultura e la rendiamo accessibile a tutti.
L’Italia è particolarmente esposta, anche perché il settore manifatturiero è particolarmente sviluppato nel nostro Paese. Siamo al secondo posto in Europa dopo la Germania per il peso dell’industria sull’occupazione.
Eppure rispetto ai tedeschi abbiamo uno svantaggio antico che potremmo trasformare in un vantaggio competitivo: abbiamo meno da perdere e non abbiamo quasi più campioni nazionali da proteggere a tutti i costi.
Le nostre aziende manifatturiere sono più piccole e questo le rende più capaci di mutare pelle senza perdere tempo a tentare una resistenza al cambiamento destinata alla sconfitta; gli italiani hanno nel disegno industriale un punto di forza, mentre l’organizzazione dei processi produttivi (che è stato un elemento di debolezza) è destinata ad avere meno rilevanza; infine, abbiamo una tradizione proprio sulle macchine che permettono l’automazione e sugli stessi robot in alcuni distretti e in università come i Politecnici e il Sant’Anna di Pisa.
Il Governo con il Programma Nazionale per la Ricerca tenta una risposta alle strategie di altri Paesi europei che hanno deciso di anticipare il futuro della fabbrica intelligente. Fondamentale però è incoraggiare le università a generare idee d’impresa che sfidano lo status quo; abituare le imprese a rischiare provando a riconquistare leadership battendo strade nuove. La «ricchezza delle nazioni» o più modestamente la capacità dell’Italia e dell’Europa di ricominciare a crescere, dipende interamente dalla capacità di riempire di idee il buco nero di strategia e di conoscenza che si è aperto di fronte a questa mutazione innescata dalle tecnologie.