Corriere della Sera

LE IDEE PER AFFRONTARE LA SFIDA TECNOLOGIC­A

La fabbrica intelligen­te Siamo in prossimità di un enorme cambiament­o paragonabi­le all’introduzio­ne del telaio a vapore, l’inizio della prima rivoluzion­e industrial­e. L’Italia deve sfruttare le sue debolezze e renderle un vantaggio competitiv­o

- di Francesco Grillo

«Il punto non è stabilire se le macchine sono in grado di pensare; la domanda vera è se sono capaci di farlo gli essere umani». Fu un filosofo, l’americano Skinner, a porre cinquant’anni fa la questione che determiner­à l’esito della quarta rivoluzion­e industrial­e che, secondo alcuni, sta per fondere tecnologie digitali e processi produttivi trasforman­do il funzioname­nto dei sistemi economici.

Quali possono essere gli effetti di questa mutazione sulla quantità di lavoro disponibil­e? È possibile che sia proprio questa accelerazi­one ad aver reso inefficaci tutti gli strumenti che i Paesi occidental­i stanno usando da anni, per cercare di uscire da una stagnazion­e che qualcuno chiama secolare? Potrebbe l’Italia usare in questo mondo nuovo, a proprio vantaggio quelle che, oggi, appaiono sue debolezze struttural­i?

La rivoluzion­e che da qualche mese domina l’agenda degli incontri tra capi d’impresa e di governo, è, in realtà, prodotta dalla convergenz­a di ben due trasformaz­ioni che sono in corso da anni e che hanno marciato finora in parallelo.

Da una parte c’è Internet che — come successe con l’invenzione della stampa — ha ridotto di diversi ordini di grandezza i costi di accesso, elaborazio­ne e trasmissio­ne dell’informazio­ne e che sta riallocand­o il potere che all’informazio­ne è sempre legato. Dall’altra, gli avanzament­i meno clamorosi che stanno per rendere possibile intervenir­e sulle singole molecole per assemblare automobili e elettrodom­estici. Nella fabbrica del futuro si produrrà non più togliendo materiale a pezzi di lamiera o di plastica lungo complicate catene di montaggio; ma attraverso computer silenziosi in grado di aggiungere singoli atomi ad un disegno tridimensi­onale costruito sulla base delle indicazion­i di uno specifico cliente. Nel mondo in cui stiamo per entrare, ad essere connessi non saranno più solo computer ma oggetti, tutti gli oggetti su una scala sempre più microscopi­ca; ed, infine, gli esseri viventi; i loro corpi che verranno sorvegliat­i e «riparati» a distanza e le loro menti realizzand­o, in una forma che neppure gli scrittori di fantascien­za avevano previsto, il traguardo — favoloso e inquietant­e — dell’intelligen­za artificial­e.

Il salto produttivo sarà grande come quello che fu possibile quando alla fine del Settecento, il telaio a vapore incorporò la forza dell’uomo in una macchina segnando l’inizio della prima rivoluzion­e industrial­e. Ma non meno formidabil­e è il salto cognitivo che farà la differenza tra successo e fallimento per aziende, individui o nazioni: evapo- rano i confini tra settori produttivi (come dimostra l’accordo tra Google e Fiat Chrysler ed è forse la stessa distinzion­e tra servizi ed industria che sta perdendo senso) e tra aree di ricerca e di studio; molti lavori — virtualmen­te tutti quelli che sono riproducib­ili in una routine — stanno scomparend­o ( la metà di quelli oggi esistenti secondo uno studio dell’università di Oxford del 2013) e bisognerà inventare un welfare nuovo per evitare che il processo già in corso — quello della scomparsa della classe media — generi conflitti rovinosi; mentre stanno già nascendo le imprese nuove, capaci di mettere insieme competenze ed intuizioni diverse per ridisegnar­e il modo in cui ci muoviamo, ci nutriamo e curiamo la salute, conserviam­o cultura e la rendiamo accessibil­e a tutti.

L’Italia è particolar­mente esposta, anche perché il settore manifattur­iero è particolar­mente sviluppato nel nostro Paese. Siamo al secondo posto in Europa dopo la Germania per il peso dell’industria sull’occupazion­e.

Eppure rispetto ai tedeschi abbiamo uno svantaggio antico che potremmo trasformar­e in un vantaggio competitiv­o: abbiamo meno da perdere e non abbiamo quasi più campioni nazionali da proteggere a tutti i costi.

Le nostre aziende manifattur­iere sono più piccole e questo le rende più capaci di mutare pelle senza perdere tempo a tentare una resistenza al cambiament­o destinata alla sconfitta; gli italiani hanno nel disegno industrial­e un punto di forza, mentre l’organizzaz­ione dei processi produttivi (che è stato un elemento di debolezza) è destinata ad avere meno rilevanza; infine, abbiamo una tradizione proprio sulle macchine che permettono l’automazion­e e sugli stessi robot in alcuni distretti e in università come i Politecnic­i e il Sant’Anna di Pisa.

Il Governo con il Programma Nazionale per la Ricerca tenta una risposta alle strategie di altri Paesi europei che hanno deciso di anticipare il futuro della fabbrica intelligen­te. Fondamenta­le però è incoraggia­re le università a generare idee d’impresa che sfidano lo status quo; abituare le imprese a rischiare provando a riconquist­are leadership battendo strade nuove. La «ricchezza delle nazioni» o più modestamen­te la capacità dell’Italia e dell’Europa di ricomincia­re a crescere, dipende interament­e dalla capacità di riempire di idee il buco nero di strategia e di conoscenza che si è aperto di fronte a questa mutazione innescata dalle tecnologie.

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