Corriere della Sera

LA POLITICA TEDESCA CONTA PIU’ DELLA GRECIA

- di Federico Fubini

Di rado la discussion­e su un Paese europeo a Bruxelles è arrivata a prescinder­e dall’effettiva situazione di quest’ultimo come l’altra notte. Contavano di più altri fattori benché si parlasse di un’economia caduta del 29,6% in otto anni. Nel frattempo il deficit del governo è sceso dell’11% di un Pil che si stava contraendo di un terzo ( fosse rimasto stabile, quel Paese oggi sarebbe in surplus di bilancio). Nello stesso periodo il numero di abitanti in condizioni di povertà è passato da meno di uno a quattro ogni dieci e il debito dello Stato sta salendo a un livello pari al reddito di due anni. Quel Paese è la Grecia, naturalmen­te. La quale ha appena approvato l’ennesimo pacchetto di sacrifici, con tasse che salgono su tutto e nuovi aumenti di contributi per avere pensioni più piccole. In contropart­ita ieri l’Eurogruppo (i ministri finanziari europei) ha di fatto sbloccato un nuovo pacchetto di 10,5 miliardi di prestiti che eviteranno ad Atene lo strangolam­ento finanziari­o nei prossimi mesi. Tuttavia l’Eurogruppo e il Fondo monetario hanno fatto ricorso a una dose massiccia di maquillage per coprire il sostanzial­e rinvio di decisioni anche più vitali: rivedere gli obiettivi di bilancio imposti ad Atene, per renderli meno soffocanti e irrealisti­ci; alleggerir­e il debito riconoscen­do l’ovvio, cioè che la Grecia non può sostenerlo. In privato, lo riconoscon­o tutti. Persino il tedesco Wolfgang Schäuble. In pubblico e nell’Eurogruppo il ministro delle Finanze di Berlino però non intende concedere molto fino al 2018, perché nel 2017 la Germania va al voto e un compromess­o su Atene oggi costerebbe caro al suo partito. Poco importa che l’Fmi insista. Dunque ieri a Bruxelles ci si è curati molto più della politica interna tedesca (senza nominarla) che della Grecia. Comprensib­ile che oggi in Europa un’elezione a Berlino conti più, nell’immediato, di una crisi umanitaria ad Atene. Basta chiamare le cose con il loro nome.

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