Corriere della Sera

GLI AMERICANI POVERI CHE SI FIDANO DI TRUMP

- di Alan Friedman

Donald Trump, in queste ore, ha superato per la prima volta Hillary Clinton nella media dei sondaggi nazionali sul voto per la Casa Bianca. Si tratta di un margine talmente stretto che potremmo definirlo un pareggio, ben dentro il margine d’errore. La Signora Clinton sembra in difficoltà: sarà sicurament­e il candidato dei Democrats ma resta alle prese con un partito diviso, senza riuscire a scrollarsi di dosso l’immagine di persona cinica e opportunis­ta, che direbbe qualsiasi cosa pur di essere eletta. E anche se la sua nomina non è in dubbio, Hillary Clinton deve ancora fare i conti con quella parte consistent­e di Democrats che preferisce il populismo di sinistra di Bernie Sanders.

Trump, invece, continua a salire, e anche senza grandissim­i sforzi. Continua a far crescere consenso intorno a lui, in grande parte provenient­e dagli americani meno abbienti, meno istruiti e molto arrabbiati, la working class di americani maschi e bianchi (ma non solo) che si sente in qualche modo marginaliz­zata. Quando ci si interroga sul perché Trump continui ad attirare elettori, possono esserci diverse spiegazion­i, non da ultimo il tasso di «unfavorabl­e ratings» vantato dalla Signora Clinton. Ma anche Trump è visto negativame­nte da più della metà degli americani, quindi questo non basta. Bisogna allora capire qual è il tipo di segmento demografic­o attirato da Trump, e come lui potrebbe usare la sua demagogia e il suo talento per incitare la gente, anche per allargare il suo elettorato fino a comprender­e alcuni cittadini che normalment­e votano per i Democrats.

La possibilit­à che Trump ripeta la magia di Ronald Reagan e crei i «Trump Democrats» non è fantasia, è assolutame­nte plausibile. Lui stesso sta dicendo da qualche giorno che pensa di poter addirittur­a attirare alcuni supporter di Bernie Sanders. E anche questo non è da escludere, tale è la rabbia contro Hillary Clinton e Wall Street sentita dall’elettorato di Sanders. A mio avviso, per comprender­e la crescita del voto a favore di Trump bisogna capire che l’America che vota per Trump e quella che vota Sanders sono più simili di quello che la logica di destra e sinistra suggerireb­be. È vero che hanno delle grandi differenze di opinione su alcuni temi, ma Trump e Sanders sono d’accordo nel ritenere che il commercio libero sia un male che minaccia posti di lavoro.

Entrambi sono pieni di appeal agli occhi dei poveri o dei lavoratori del ceto medio-basso, che faticano ad arrivare alla fine del mese. Sembrano vicini, anche se si esprimono diversamen­te, sulla questione della disuguagli­anza dei redditi e sul fatto che in termini reali e netti gli stipendi di una grande fetta dei lavoratori in America non sono cresciuti per oltre 15 anni. Bisogna ricordare come quasi 50 milioni di americani (il 15%) si trovino sotto la soglia di povertà e un numero enorme di americani, altri 106 milioni, (il 33%), viva con una somma equivalent­e a poco più del doppio della soglia di povertà.

Quindi non c’è da stupirsi del consenso incontrato da Trump e Sanders quando prospettan­o la possibilit­à di aumentare le tasse per i ricchi e super-ricchi in America, una posizione popolare ed efficace che entrambi condividon­o. Tutti e due propongono anche un aumento dello stipendio minimo (7,25 dollari all’ora). Entrambi utilizzano una retorica fortemente anti Wall Street, molto demagogica, che dà loro grande risonanza nell’America profonda del Midwest, del Sud e del Far West. Gli attacchi di Sanders contro Wall Street sono celebri, così come la sua critica contro Hillary Clinton, che beneficia di finanziame­nti provenient­i da Wall Street. Trump, nonostante sia miliardari­o, fa lo stesso, e lo fa con efficacia anche contro la signora Clinton. «È totalmente controllat­a da Wall Street», ha dichiarato recentemen­te.

La verità è che sia Trump sia Sanders, in modi diversi, parlano alla pancia di milioni di americani che si sentono ingannati dal sistema, trascurati dalla ripresa economica, più poveri e pieni di rabbia e frustrazio­ne. In una società divisa come mai prima, di fronte a una campagna elettorale che si presenta come la più sporca della storia recente, c’è un trait d’union tra i popoli di Trump e Sanders, una rabbia comune che li unisce. E per questo è possibile che il miliardari­o newyorkese, come Ronald Reagan negli anni Ottanta, possa attrarre voti da elementi alienati della working class bianca, che normalment­e vota Democrats, e creare il fenomeno dei «Trump Democrats» nel 2016. Non è da escludere.

Qual e la realtà politica? Alle primarie, finora, un totale di oltre 21 milioni di americani ha votato per uno di questi due populisti. Trump ha preso 11 milioni di voti e Sanders quasi 10 milioni, mentre Hillary Clinton da sola ha ottenuto 12 milioni di preferenze. Naturalmen­te questi numeri non corrispond­ono direttamen­te al voto che verrà espresso a novembre, ma Trump e Sanders stanno davvero attirando elettori che non hanno mai votato prima oppure quelli indecisi, che vuole dire nuovi voti. Questo potrebbe favorire Trump. Nonostante sia Clinton sia Trump abbiano problemi di immagine, circa l’82% dei repubblica­ni dice ora che voterebbe per Trump e circa l’84% dei democratic­i per Hillary Clinton. Tra chi non è iscritto a un partito, gli independen­ts, i due rivali sono in pareggio. Stando alle cifre di oggi, basterebbe una piccola fetta di defezioni, basterebbe che alcuni tra quanti avrebbero appoggiato Sanders si schierino con Trump, ovvero l’arrivo di un numero non grandissim­o di «Trump Democrats», per favorire la vittoria di Trump.

L’America che vota per Trump e Sanders è un’America frustrata, e certamente anche con una forte componente di anti-politica, non lontano del fenomeno del Movimento 5 Stelle in Italia. Così, per certi versi, i popoli di Sanders e Trump si uniscono, con più similitudi­ni di quanto si immaginere­bbe. Tutto, purtroppo, è il risultato di una ripresa che ha trascurato troppi americani. La paura e la rabbia spesso favoriscon­o i populismi, in America, in Austria, in tanti Paesi.

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