L’umanista Mattioli, banchiere lungimirante
Era «un abruzzese-napoletano fieramente milanese». Si comportava da «conservatore aristocratico», pur professando idee di sinistra e coltivando rapporti con i comunisti. Economista e manager di rara competenza, per quarant’anni alla guida della Banca commerciale italiana (Comit), amava al tempo stesso la cultura umanistica e prediligeva la compagnia dei letterati. Di carattere gioviale, era capace di «silenzi ombrosi e corrucciati».
È un ritratto denso di sfaccettature quello che ieri a Milano Ferruccio de Bortoli ha dedicato alla figura di Raffaele Mattioli, davanti all’uditorio della basilica di Santa Maria deldal le Grazie, nell’ambito delle Lezioni di storia organizzate dall’editore Laterza: un ciclo che quest’anno s’intitola «Milanesi» e consiste in una rassegna di personalità legate alle vicende della metropoli lombarda.
Fra i tanti meriti di Mattioli, spicca il coraggio con cui, sotto il fascismo, tenne «una luce accesa della libertà» alla Comit e nella sua casa di via Bigli, circondandosi di intellettuali spesso lontani dal regime. Non solo fu «un mecenate generoso e competente», sostenne riviste e case editrici, ma appoggiò in modo fattivo gli antifascisti. «Mai fondi neri di una banca — ha commentato de Bortoli — ebbero destinazione così felice e fruttuosa».
Ciò non toglie che Mattioli pagasse qualche tributo al regime, per il quale era del resto preziosa la sua opera in campo economico, «essenziale nell’affrontare la crisi degli anni Trenta, nell’elaborare la nuova legge bancaria». Secondo alcuni, ha notato de Bortoli, le difficoltà della Comit con la politica aumentarono dopo il 1945: non per nulla Mattioli considerava «il potere romano come una escrescenza dolorosa».
Il «banchiere umanista» diffidava però anche della «borghesia rampante» sprovvista di senso civico. E fu sempre molto cauto nel valutare le prospettive economiche dell’Italia, perfino negli anni del boom. Gli erano ben chiari, ha sottolineato de Bortoli, i «difetti strutturali» del nostro sistema produttivo, che ancora oggi pesano sul futuro del Paese.