Mutter, il violino dai tanti colori che «salva» il trio
Èdavvero un «super Trio»? Da poco più di un anno, Anne-Sophie Mutter al violino, Lynn Harrell al violoncello e Yefim Bronfman al piano ( foto) entusiasmano oltre Oceano. Domenica hanno debuttato alla Scala: lasciando aperti, però, non pochi dubbi. Lo slancio, la perfezione di ogni sincronia, la delicatezza nei dialoghi tra violino e violoncello non si discutono. I Trii in programma, poi, l’Arciduca di Beethoven e l’op. 50 di Ciajkovskij, compianto per la morte di un grande pianista amico, sono i più commoventi mai scritti, e le emozioni sgorgano.
Il problema è l’equilibrio, che in un gruppo da camera determina la circolarità dei temi, i significati e le strutture. Qui il pianoforte tuona e invade, monocorde e sgraziato. Il violoncello, pur soave, non va oltre il flebile sussurro e qua e là ha attacchi di effetto calante. Ben altro fu Harrell nel Trio famoso di trent’anni fa, con Perlman e soprattutto con le finezze di Ashkenazy, che ora certo non s’ascoltano (la Variazione VII di Ciajkovskij priva di solennità; in Beethoven, il Finale quasi marziale…). Il tavolino a tre gambe poggia, in realtà, su una gamba sola. Regge tutto lei, la splendida Mutter, violino infinito: è lei l’unica a inventare e mutare fraseggi e colori, dall’elegia alla mazurka, dalla nenia immobile al fuoco inesauribile della Variazione finale di Ciajkovskij, brama di vita contro la morte. Se il canto la infiamma, è un raggio d’oro; se toglie il vibrato, restiamo come senza ossigeno; se scava nelle corde gravi, è più violoncello lei... E per questo meriterebbe dei compagni, forse, più alla sua altezza.