Corriere della Sera

ITALIA E GERMANIA NEL 1945 FRA EPURAZIONE E PROCESSI

- Andrea Sillioni sillioni@alice.it

Ho recentemen­te visto il film del regista tedesco Lars Kraume «Lo Stato contro Fritz Bauer», film che affronta la vicenda umana e politico- giuridica del procurator­e generale tedesco di origine ebrea, che portò avanti una lunga battaglia per la cattura dei criminali nazisti sparsi per il mondo, riuscendo a favorire l’arresto (per mezzo del Mossad) di Eichmann responsabi­le della pianificaz­ione e della deportazio­ne degli ebrei nei campi di sterminio. Quello che mi ha colpito del film è stato il clima in cui il procurator­e si muoveva e la presenza di nazionalso­cialisti riciclati in tutti i livelli e in tutti i settori dello Stato. Tra il periodo post fascista italiano e quello post nazista tedesco ci sono affinità in termini di riabilitaz­ione? Perché tante persone, nonostante le connivenze con le dittature, non furono né processate né giudicate?

Caro Sillioni,

Tra Italia e Germania, in quegli anni, vi furono analogie e differenze. In Italia Palmiro Togliatti, ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo di Alcide De Gasperi, firmò una amnistia che ebbe il merito di chiudere, almeno sul piano giudiziari­o, il capitolo delle responsabi­lità penali. Il segretario del Partito comunista si rese conto che il Paese stava uscendo da una guerra civile e che era indispensa­bile, per il suo futuro, evitare una possibile ricaduta. Per le responsabi­lità politiche, invece, vi fu una commission­e dell’epurazione che eliminò dalla pubblica amministra­zione un certo numero di funzionari medio-alti. Ma quasi tutti tornarono in servizio quando la giustizia amministra­tiva accolse i loro ricorsi e fu evidente che le loro competenze erano necessarie al funzioname­nto del Paese. La continuità dello Stato sembrò alla maggioranz­a degli italiani la migliore garanzia contro qualsiasi deriva rivoluzion­aria o reazionari­a. Gli Alleati stettero a guardare e non sollevaron­o obiezioni. La maggioranz­a della pubblica opinione approvò questa linea.

In Germania, la continuità dello Stato, dopo la disfatta e il collasso del regime nazista, era un concetto improponib­ile. Per quattro anni, quindi, i vincitori furono contempora­neamente Governo e Giustizia. Ma anche in Germania fu chiaro che il Paese non avrebbe potuto fare a meno di buona parte del personale tecnico-amministra­tivo che aveva lavorato per il Terzo Reich anche nei gradi più alti della amministra­zione. Vi furono polemiche quando si scoprì che qualche vecchio nazista era diventato consiglier­e della cancelleri­a. E vi fu grande scandalo quando il capo dei servizi di sicurezza della Repubblica Federale fuggì nella Germania comunista per protestare, tra l’altro, contro l’impiego di personale nazista nell’amministra­zione. Si chiamava Otto John, aveva partecipat­o al complotto contro Hitler del luglio 1944, era riuscito a trovare riparo a Londra, dove aveva lavorato con i servizi britannici, ed era diventato, dopo la fine della guerra, capo dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzio­ne, l’eufemismo con cui il nuovo Stato tedesco definì il suo Intelligen­ce. L’esilio terminò nel 1955, un anno dopo la fuga, quando John fu deluso dalla sua esperienza comunista e tornò in Occidente. Ma nella Repubblica Federale fu condannato per alto tradimento a quattro anni di prigione. Sostenne di essere stato giudicato da magistrati che avevano servito il Terzo Reich.

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