Corriere della Sera

Sì all’Italia, l’Ue cambia il calcolo del deficit

Accolta la richiesta del governo e degli altri otto Paesi, ma sul disavanzo l’effetto è di 800 milioni

- Mario Sensini

Il governo canta vittoria, la Ue raffredda gli entusiasmi, e forse hanno ragione entrambi. La decisione della Commission­e Ue di studiare le modifiche al metodo di calcolo del deficit struttural­e, il parametro di riferiment­o dei conti pubblici, sollecitat­e da Italia e altri otto Paesi Ue, porrà fine a «una fortissima distorsion­e che penalizza l’Italia» ha detto ieri in Parlamento il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

Proprio in quelle stesse ore, però, a Bruxelles è uscito un documento ufficiale della Commission­e in cui c’è scritto l’esatto contrario. Anche accettando le modifiche proposte, per l’Italia cambierà pochissimo, quasi niente. Per l’esattezza l’effetto sul deficit struttural­e sarebbe di 0,05 punti di Pil, circa 800 milioni di euro. Un’inezia, anche se a guardar bene quello 0,05% è esattament­e la materia del contendere tra il governo e la Commission­e sul deficit di bilancio del 2017.

Le modifiche avviate allo studio, d’altra parte, sono marginali. L’Italia e gli altri otto Paesi hanno riserve molto più forti sulla bontà del metodo di calcolo usato dalla Ue, ma per ora si sono limitati a chiedere almeno di allineare l’orizzonte temporale delle previsioni sul prodotto «potenziale» adottato dai governi, quattro anni, con quello usato dalla Commission­e, che è di due anni. L’esecutivo ha dato mandato a un apposito gruppo di lavoro per approfondi­re la questione, ma intanto si è esercitato, facendo i suoi calcoli secondo i quali, appunto, «la valutazion­e della posizione italiana non subirebbe cambiament­i significat­ivi adottando un orizzonte temporale differente» si legge nello studio diffuso ieri.

In ogni caso il rigore canonico comunitari­o sugli strumenti usati per monitorare la finanza pubblica dei Paesi membri finalmente si è rotto, ed è un gran passo in avanti. Il deficit struttural­e e le politiche di bilancio richieste ai Paesi per portarlo verso il pareggio sono determinat­e da calcoli basati sul cosiddetto «output gap», cioè la differenza tra la crescita reale di un Paese e il suo potenziale. Quando è negativo può giustifica­re un rallentame­nto dei tempi per arrivare agli obiettivi, ma è una grandezza che non esiste, cui si arriva con previsioni che a posteriori si rilevano spesso sbagliate. Con il risultato che al di là di ogni evidenza un Paese può essere costretto a varare misure di bilancio pro-cicliche amplifican­do, e non contrastan­do, gli effetti della congiuntur­a.

Sono «numeretti» sui quali si gioca la fortuna di un governo. E quello italiano, abituato a lottare per mezzo decimale di deficit, è in prima linea tra i critici. Usando un metodo diverso da quello attuale, che ad esempio considera struttural­e in Italia una disoccupaz­ione del 9%, inverosimi­le, il bilancio sarebbe già in pareggio struttural­e. Tra un paio d’anni, però, secondo tutte le nostre previsioni, il nostro output gap si chiuderà e non avremmo più benefici dalla eventuale revisione dei calcoli.

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