Corriere della Sera

PER RILANCIARE LA SERVONO POLITICHE MIRATE

SCIENZA

- Di Massimo Sideri

Il basso livello di interesse in Italia per le questioni scientific­he non si evince solo dai casi degli scienziati costretti a fuggire, come quello di Ilaria Capua, ma anche dalla scarsa attenzione storica per i nostri meriti: l’esistenza scientific­a del vuoto, negata fin da Aristotele, fu dimostrata nel 1644 da un allievo di Galileo Galilei, Evangelist­a Torricelli. Nel 1648 il filosofo Blaise Pascal non fece altro che ripetere quell’esperiment­o con il mercurio per diventare, su molti testi anche italiani, lo «scopritore del vuoto». Una sindrome di cui soffriamo ancora oggi: la Commission­e Ue ha appena autorizzat­o la prima terapia genica ex vivo, cioè preparata fuori dal corpo umano, in Europa. Potremmo dire al mondo visto che anche negli Usa non era mai accaduto. Il farmaco Strimvelis per la AdaScid, più nota come sindrome dei «bimbi in bolla» per la quasi totale assenza di difese immunitari­e, sarà prodotto dall’inglese Gsk. Ma se la manifattur­a sarà affidata a una delle big della farmaceuti­ca — una dimensione che abbiamo perso ai tempi della Montedison con la vendita all’estero della Farmitalia-Carlo Erba — la terapia è integralme­nte made in Italy: nata nel Sr-Tiget (joint venture tra San Raffaele e Telethon diretta da Lugi Naldini) la cura è la diretta conseguenz­a di un altro primato dimenticat­o come quello del vuoto: l’utilizzo delle cellule staminali del sangue. Il numero di Nature del 9 aprile del ‘92 certificav­a il primo trattament­o con cellule staminali su un bambino di 5 anni affetto da Ada ad opera dello staff di Claudio Bordignon. Lo scienziato del San Raffaele riprendeva il lavoro degli americani Michael Blaese e French Anderson ma, in più, introducev­a quella che sta diventando la chiave delle cure geniche, la manipolazi­one delle cellule con un retrovirus. «Italians first to use stem cells» titolava la rivista scientific­a. Fu, come ricordò il professore allora, non solo una vittoria scientific­a, ma anche etica. Siamo stati pionieri e resilienti, per 24 anni. Per inciso, almeno per questa apertura verso la scienza di frontiera, la figura di Don Verzé dovrà forse essere recuperata (nella «basilica» del San Raffaele l’altare è ancora sovrastato da un’enorme, pendente, elica di Dna). L’Italia di oggi non ama la scienza, nonostante il grande lavoro di divulgazio­ne che Piero Angela ha fatto con Quark su almeno un paio di generazion­i di telespetta­tori, ma la scienza, nonostante tutto, sembra continuare ad amare l’Italia. Il successo su una delle malattie geniche più rare al mondo è stato ottenuto per una sommatoria di variabili non replicabil­i: la morte nel ’99 del diciottenn­e Jesse Gelsinger fu un duro colpo per le terapie geniche nel mondo. Ma grazie alla Fondazione Telethon — e, dunque, grazie alla generosità degli italiani — i test del San Raffaele non furono fermati. E, anzi, furono riconquist­ati cervelli in fuga come quello di Naldini, lo scienziato che ha «addomestic­ato» l’Hiv per trasformar­lo in un potente veicolo di cura. Lo stesso Naldini con la start up biotech Genenta, fondata con Pierluigi Paracchi, vuole portare queste terapie fuori dal campo delle malattie rare per aggredire il cancro. Nonostante tutto l’Italia fatica però a trovare grandi finanziame­nti e a trasmetter­e le proprie scoperte scientific­he all’industria. È sicurament­e vero che non riusciremo mai a fondare la nuova Facebook. Ma invece di occuparci di questioni così «filosofich­e» e anche un po’ deprimenti sarebbe più saggio pensare a delle politiche fiscali, come ha fatto Londra, per difendere un primato che potrebbe sfuggirci sotto le mani. In fondo, per disattenzi­one.

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