La tendopoli dei disperati
«Struttura da smantellare». Ma mancano fondi e il Comune è sciolto per mafia
inverno scorso, nella stagione degli agrumi, erano arrivati a mille, stipati nella tendopoli; adesso circa la metà è andata a raccogliere pomodori altrove, e sono rimasti in poco più di 400. Quasi tutti con lo status di rifugiati, o in attesa di ottenerlo: cittadini ormai stanziali, a dispetto Nonostante i permessi di soggiorno dominano lavoro nero, salari bassi e caporalato lordo delle trattenute per il trasporto nei campi: prima imperavano il caporalato e il cottimo, adesso prevalgono assunzioni in nero o fasulle (a volte intestate a italiani che accumulano i contributi senza fare nulla, mentre a lavorare vanno molti neri africani e pochi bianchi dell’Est europeo). Un lavoro che comincia all’alba e finisce al tramonto, quando si torna nell’accampamento, dove forse finisce lo sfruttamento ma prosegue un’esistenza degradata.
A sostenerlo non è soltanto un’organizzazione autonoma come Medu, ma il rappresentante del governo: il prefetto di Reggio Calabria Carlo Sammartino, che a febbraio ha approvato un «protocollo di accoglienza e integrazione degli immigrati nella Piana di Gioia Tauro » con l’obiettivo di smantellare la tendopoli. Proprio in virtù di una presenza tanto massiccia quanto stabile dei rifugiati che lavorano e producono reddito. L’importanza di quel documento — firmato anche da rappresentati degli Enti locali, della Croce Rossa, della Chiesa, insieme a Caritas, Emergency e Medu — sta nelle premesse, prima ancora che nelle soluzioni. Perché è lì che, nonostante il linguaggio apparentemente asettico, è descritta l’intollerabilità del contesto.
Occorrono «linee di intervento per il superamento della condizione di precarietà abitativa e igienico-sanitaria in cui versa un consistente numero di lavoratori extracomunitari», si legge. E più avanti: «Una tendopoli è stata dismessa, ma nell’altra, ancora operante, si registrano condizioni di degrado, anche sotto il profilo igienico-sanitario, nonché altre carenze». Infine: «La particolare situazione in cui versano gli immigrati presenti in quel territorio impone interventi non più procrastinabili al fine di garantire la fruizione di servizi essenziali agli immigrati e favorire una piena integrazione degli stessi».
Di qui la decisione di«assicurare, nell’immediato, la riconduzione di San Ferdinando a condizioni di maggiore vivibilità e sicurezza, mediante interventi di bonifica, sostituzione delle tende e degli apparati deteriorati»; e successivamente, «smantellare l’attendamento, mediante l’individuazione e celere realizzazione di politiche attive di accoglienza e integrazione nel tessuto sociale e locale». Tradotto dal burocratese, significa che i rifugiati non possono più vivere negli accampamenti, che devono scomparire, perché hanno diritto all’accoglienza in case normali. Ma siamo ancora alla prima fase dell’intervento: per trovare le abitazioni servono soldi (che non bastano mai) e scelte politiche non facili da parte di Regione e Comuni.
Sfruttamento