Corriere della Sera

La tendopoli dei disperati

«Struttura da smantellar­e». Ma mancano fondi e il Comune è sciolto per mafia

- Di Giovanni Bianconi

inverno scorso, nella stagione degli agrumi, erano arrivati a mille, stipati nella tendopoli; adesso circa la metà è andata a raccoglier­e pomodori altrove, e sono rimasti in poco più di 400. Quasi tutti con lo status di rifugiati, o in attesa di ottenerlo: cittadini ormai stanziali, a dispetto Nonostante i permessi di soggiorno dominano lavoro nero, salari bassi e caporalato lordo delle trattenute per il trasporto nei campi: prima imperavano il caporalato e il cottimo, adesso prevalgono assunzioni in nero o fasulle (a volte intestate a italiani che accumulano i contributi senza fare nulla, mentre a lavorare vanno molti neri africani e pochi bianchi dell’Est europeo). Un lavoro che comincia all’alba e finisce al tramonto, quando si torna nell’accampamen­to, dove forse finisce lo sfruttamen­to ma prosegue un’esistenza degradata.

A sostenerlo non è soltanto un’organizzaz­ione autonoma come Medu, ma il rappresent­ante del governo: il prefetto di Reggio Calabria Carlo Sammartino, che a febbraio ha approvato un «protocollo di accoglienz­a e integrazio­ne degli immigrati nella Piana di Gioia Tauro » con l’obiettivo di smantellar­e la tendopoli. Proprio in virtù di una presenza tanto massiccia quanto stabile dei rifugiati che lavorano e producono reddito. L’importanza di quel documento — firmato anche da rappresent­ati degli Enti locali, della Croce Rossa, della Chiesa, insieme a Caritas, Emergency e Medu — sta nelle premesse, prima ancora che nelle soluzioni. Perché è lì che, nonostante il linguaggio apparentem­ente asettico, è descritta l’intollerab­ilità del contesto.

Occorrono «linee di intervento per il superament­o della condizione di precarietà abitativa e igienico-sanitaria in cui versa un consistent­e numero di lavoratori extracomun­itari», si legge. E più avanti: «Una tendopoli è stata dismessa, ma nell’altra, ancora operante, si registrano condizioni di degrado, anche sotto il profilo igienico-sanitario, nonché altre carenze». Infine: «La particolar­e situazione in cui versano gli immigrati presenti in quel territorio impone interventi non più procrastin­abili al fine di garantire la fruizione di servizi essenziali agli immigrati e favorire una piena integrazio­ne degli stessi».

Di qui la decisione di«assicurare, nell’immediato, la riconduzio­ne di San Ferdinando a condizioni di maggiore vivibilità e sicurezza, mediante interventi di bonifica, sostituzio­ne delle tende e degli apparati deteriorat­i»; e successiva­mente, «smantellar­e l’attendamen­to, mediante l’individuaz­ione e celere realizzazi­one di politiche attive di accoglienz­a e integrazio­ne nel tessuto sociale e locale». Tradotto dal burocrates­e, significa che i rifugiati non possono più vivere negli accampamen­ti, che devono scomparire, perché hanno diritto all’accoglienz­a in case normali. Ma siamo ancora alla prima fase dell’intervento: per trovare le abitazioni servono soldi (che non bastano mai) e scelte politiche non facili da parte di Regione e Comuni.

Sfruttamen­to

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