L’ex braccio destro di Margaret Thatcher: «L’Ue non è democratica è contro la nostra storia»
LONDRA «Vivo in Francia, conosco bene e amo l’Italia, amo la Spagna, amo l’Europa. Ma voglio la Brexit». Il barone Nigel Lawson, conservatore, è stato per sei anni cancelliere dello Scacchiere, dal 1983 al 1989, nel governo di Margaret Thatcher. Siede nella Camera dei Lord, è il papà della giornalista Nigella ed è uno degli uomini di punta dello schieramento euroscettico.
Perché portare Londra fuori dall’Europa?
«Sgomberiamo il campo da un equivoco. Non è una questione di incompatibilità con i popoli del continente. Noi inglesi siamo aperti e tolleranti. Il nodo vero è che l’Unione Europea ha lo scopo preciso di creare una unione politica, ovvero gli Stati Uniti d’Europa. È il progetto di una élite che piace in Germania e in Francia, forse in Italia, ma non a noi britannici. È la negazione della nostra storia e della nostra cultura».
L’accordo firmato da Cameron con i partner europei prevede per Londra l’esclusione dalla clausola della «closer Union», ovvero dalla partecipazione a una Unione «più stretta». Dov’è allora il pericolo di cui lei parla?
«Restando dentro l’Unione si diventa partecipi di un progetto con un pesante deficit di democrazia, un tema avvertito da tutti i britannici».
Ma rischiate l’isolamento.
«Non è vero. È così scandaloso dire che invochiamo un esecutivo e un parlamento che decidano senza vincoli esterni? A me sembra una cosa normale, specie per una democrazia. Quanto all’isolamento, è proprio un discorso che non esiste. Noi siamo da sempre per relazioni forti con il mondo intero. Siamo membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Siamo membri della Nato. Londra è una piazza finanziaria globale, la più globale. Siamo legati agli Stati Uniti, all’Asia, alla Cina, al Commonwealth. Il nostro destino non è confinato nell’Europa. Altro che isolamento. Londra è la città più internazionale che esista e non vi è motivo alcuno perché non resti tale».
L’import-export con l’Europa conta per oltre il 50 per cento del volume globale britannico. La Brexit rischia di avere un costo altissimo.
«Mi faccia fare una premessa: quando c’è democrazia si crea un sentimento di appartenenza. Ebbene, mi domando: nell’Unione Europea c’è un comune sentimento di appartenenza? Siamo sinceri: i britannici si sentono britannici, i francesi si sentono francesi, i tedeschi… tedeschi. E voi italiani…italiani. L’unica cosa che tutti avvertono in Europa è lo strapotere di Bruxelles che, lo ripeto, non è democratico. Quanto ai rapporti commerciali…compenseremo gli squilibri eventuali, determinati dall’uscita, con nuovi accordi in Asia, nel Commonwealth, in America. E in ogni caso, vedrà che una volta fuori sapremo rinegoziare, noi e l’Unione, un’ottima intesa commerciale. Nell’interesse di entrambe le parti. Ci saranno un po’ di tensioni ma converrà che alla fine il business vince su ogni cosa».
La City e le banche sono comunque contrarie alla Brexit.
«Le grandi banche non hanno il migliore curriculum per giudicare. Sappiamo ciò che hanno combinato. A chi dobbiamo la crisi finanziaria del 2007 e del 2008? Alle grandi banche che adesso pontificano. Hanno i loro interessi da difendere, spendono decine e decine di milioni dollari per fare lobbying a Bruxelles allo scopo di rendere la vita difficile ai piccoli competitori attraverso regolamentazioni punitive. È chiaro che a loro l’Europa vada bene. Ma ci sono molte voci dentro la City che stanno dalla nostra parte».
Anche la Confindustria britannica è contro…
Obbiettivo non condiviso Il nodo vero è che l’Unione Europea ha lo scopo preciso di creare una unione politica
«Stesso discorso delle grandi banche. Le grandi imprese e le grandi multinazionali amano l’Europa perché elimina la concorrenza delle piccole e medie imprese che vorrebbero liberarsi delle catene burocratiche».
Obama ha detto chiaro e tondo che Londra deve restare nell’Unione.
«Gli Stati Uniti ci considerano i loro servitori in Europa. Sbaglia Obama a intervenire nelle nostre questioni. Siamo noi che decidiamo. Comunque, il suo intervento ha provocato l’effetto contrario».
Non le pare che sia meglio restare dentro l’Unione e avere voce in capitolo per riformare l’Europa anziché scappare?
«Assolutamente no. Ci sono già troppe voci e non è mai possibile trovare una sintesi e un’azione efficaci. Poi c’è il blocco dell’euro, l’eurozona, che ha una posizione dominante e condiziona in modo prepotente la politica dell’Unione. Infine, la burocrazia ci soffoca».
Negli ultimi anni i flussi migratori dall’Europa sono aumentati ma i lavoratori arrivati dall’Est o dall’Italia o dalla Spagna o dalla Francia hanno aiutato la ripresa economica britannica e, circostanza non secondaria, hanno offerto un importante contributo di tasse pagate al bilancio statale.
«Noi non siamo contro gli immigrati. Sappiamo qual è il valore aggiunto che gli immigrati danno. Ma i flussi sono fuori controllo. Il nostro welfare non è in grado di sopportare questi livelli di migrazioni. È necessario che sia il governo britannico a stabilire i criteri e i numeri degli ingressi. Ogni nazione deve avere il controllo delle sue frontiere. Non Bruxelles».
Lo Scottish National Party minaccia un nuovo referendum separatista in caso di Brexit.
«Un eventuale secondo referendum passa da un atto parlamentare a Westminster. Ma è possibile che nel tempo lo ottengano. Niente di male. Lo perderanno di nuovo».
Come finirà il 23 giugno?
«È un testa a testa. Noi britannici siamo euroscettici ma molti hanno paura di cambiare e temono l’ignoto. Per fortuna ci sta aiutando la campagna di terrore che Cameron ha lanciato, appoggiato dai suoi amici europei».
Il cancelliere dello Scacchiere George Osborne prospetta una manovra da 30 miliardi di sterline, 15 in tasse e 15 in tagli alla spesa pubblica. Colpa della Brexit.
«Armi spuntate della campagna di terrore del fronte europeista».
Se passa la Brexit, Cameron si dovrà dimettere?
«Nell’immediato non vedo la necessità che Cameron lasci Downing Street. Credo però che non potrà continuare fino alla scadenza del mandato nel 2020. Lascerà prima».
Lei ha lavorato sei anni al fianco di Margaret Thatcher il cui segretario ha rivelato che se fosse viva sarebbe dalla parte di Cameron. Sottoscrive?
«Ma scherziamo? Margaret Thatcher sarebbe alla guida del fronte Brexit».
Con lo strappo di Londra rischiano di aprirsi pericolosi scenari di incertezza politica e finanziaria.
«Ci sarà qualche sbandamento nei mercati. Ma sarà sotto controllo. Niente di più. Ricordiamoci che l’uscita dall’Unione sarà efficace solo fra due o tre o quattro anni. C’è tutto il tempo per aggiustare ogni cosa. Io vedo il contrario: con la Brexit si apre uno scenario di liberazione e di prosperità. Il fallimento politico dell’Europa sarà un problema che non ci riguarda».