Corriere della Sera

Giuseppe Sala Il brianzolo tuttofare dalla Bocconi a Expo e quella scelta fatta sulla via di Santiago

Le passioni Dalle partite di calcetto alla passione per la vela, tiene sul comodino «Il giovane Holden»

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Dice di essere uno che comincia e finisce le cose. Vedi Expo. Quando gli hanno dato le chiavi dell’Esposizion­e universale, nel giugno 2010, è entrato al buio, nel pieno di una crisi economica e politica, ed è uscito con l’aureola. Non ci credeva quasi nessuno che Milano e l’Italia ce l’avrebbero fatta. E invece Beppe Sala, 58 anni, manager di lungo corso, è diventato come Wolf, l’uomo che risolve i problemi. Con il sorriso del successo si è presentato in autunno alla Bocconi, la sua università, a ricevere il titolo di Alumnus dell’anno. Gli hanno riconosciu­to intraprend­enza, integrità, responsabi­lità. E gli hanno fatto un augurio: «Speriamo che nel futuro lui voglia quello che noi vorremmo che lui volesse».

Quel che voleva l’ha detto a se stesso asciugando­si il sudore sul cammino dei pellegrini a Santiago di Compostela. Lì ha trovato la strada, dopo il bagno popolare di Expo, la benedizion­e di Matteo Renzi, l’incoraggia­mento della gente e il vuoto lasciato da Giuliano Pisapia. La strada per Palazzo Marino. «Voglio mettere la mia esperienza al servizio di Milano, tutto quello che ho imparato può essere applicato qui», ha detto a Elisabetta Soglio, del Corriere. «Ogni giorno, ogni ora», è diventato il suo slogan. Variante nobile del brianzolo «laurà», «laurà», «laurà», che Sala, originario di Varedo, ha applicato a se stesso come mantra identitari­o, dalle partite a calcetto alla carriera di funzionari­o e direttore generale in Pirelli e Telecom. Milano ce l’ha nel cuore. Con i Navigli che vorrebbe riaprire. La Madonnina, che ha portato in Expo. L’Inter, che è sempre una fede. Poteva riposarsi in barca a vela, la sua passione. Con Dorothy, la moglie. E il giovane Holden sul comodino. Ha scelto il Comune. Con due ambizioni: rilancio internazio­nale e rammendo delle periferie.

Doveva essere una discesa. È diventata una salita. Il Pd si è diviso. Pisapia si è avvitato. La giunta arancione si è spaccata. Così l’uomo ambrosiano del fare che nel Decumano spegneva anche la luce, si è trovato tra due fuochi: quello amico, che lo considerav­a troppo di destra per stare con la sinistra; e quello nemico, che non gli ha perdonato la scelta di campo, da Letizia Moratti al Partito democratic­o. Un peccato originale che Sala ha dovuto emendare con le primarie, avviando una lenta metamorfos­i, dal grigio tasmania all’improbabil­e eskimo, inclusa foto-ritratto con maglietta del Che. Con la candidatur­a a specchio di Parisi è cominciato un altro duello: è quasi meglio lui, ha detto Dario Fo. Pensiero simile a quello dei Cinque Stelle. «Uno stop a Sala è una spallata a Renzi», semplifica­no gli avversari, che vanno da La Russa al Fatto quotidiano. Sotto accusa le risposte vaghe

sui numeri di Expo, i tributi disattesi alla trasparenz­a, qualche leggerezza come i lavori nella villa di Zoagli affidati all’architetto del Padiglione Expo, la mancata autocertif­icazione della casa in Engadina. Nessuno sconto. Dal parcheggio maldestro in doppia fila, alle polemiche per aver messo in lista Sumaya Abdel Quadel, sostenuta dai Fratelli musulmani.

Sala è abituato alle complessit­à. Nei momenti difficili ricorda altre sfide, la malattia, il linfoma di Hodgkin, una battaglia che gli ha cambiato la vita. E l’Expo, vinto quando molti remavano contro. «Di là c’è solo il passato», dice. A sostenere le sue idee di trasparenz­a e internazio­nalizzazio­ne ha chiamato Gherardo Colombo e Emma Bonino. Ma si va ai rigori. E deve tirare lui.

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Il confronto Giuseppe Sala e Stefano Parisi si abbraccian­o sul palco al termine del Wired Next Fest di Milano. I due candidati domenica si sfideranno al ballottagg­io per conquistar­e la poltrona di sindaco Fotogramma)

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