Corriere della Sera

Stefano Parisi Il milanese romano che si allena in bici Manager «jolly» da Cgil a Confindust­ria

La famiglia Le due figlie dicono di lui che quando ha accettato di scendere in campo «gli brillavano gli occhi»

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Prima di lui il centrodest­ra era smarrito e Milano era una città perduta. La rosa dei nomi appassiva su ogni possibile scelta. Paolo Del Debbio: no. Maurizio Lupi: bocciato. Paolo Romani: improbabil­e. Mariastell­a Gelmini: no. Vittorio Feltri: nemmeno. Alessandro Sallusti: idem. A tempo quasi scaduto, Berlusconi si è alzato dalla panchina e ha chiamato il time out. Stefano Parisi è sceso in campo così, con tanti handicap e pochi vantaggi: una squadra divisa, un programma da inventare, una visibilità da costruire. In tre mesi ha fatto un miracolo: ha dato compattezz­a e serietà al centrodest­ra, ha risvegliat­o passioni, ha ridato una bussola al mondo moderato. E adesso va ai rigori,con il vantaggio di essere come il Leicester di Ranieri: nessuno se l’aspettava che arrivasse così in alto.

A differenza del suo avversario Stefano Parisi non ha dovuto fare l’esame del sangue, anche se in passato ha portato i baffoni da rivoluzion­ario, ha votato a sinistra e lavorato nell’ufficio studi della Cgil. È stato scelto senza le primarie dalla stessa coalizione che a Roma si è frantumata sul candidato. Quella che poteva essere una debolezza è diventata la sua forza: alla prima uscita ha imposto un passo indietro a tutti, anche alla trazione leghista che in quei giorni era tracimante. Decido io, ha detto, lasciandos­i alle spalle Chili tv, la sua start up nella quale ha investito la liquidazio­ne da amministra­tore delegato di Fastweb dopo essere stato direttore generale in Confindust­ria.

«Come ogni buon milanese nasce a Roma», lo ha presentato al suo show Enrico Bertolino. Liceo Righi, Economia e commercio nella Capitale, 59 anni, una storia d’amore lunga 32 anni con Anita, la moglie, l’appoggio delle due figlie che dicono: quando ha accettato gli brillavano gli occhi. Milano è stata una svolta importante nella vita di Parisi, ex gran commis di governo, a lungo capo del dipartimen­to economico di Palazzo Chigi. Metà degli anni Novanta: diventa city manager della giunta Albertini. La stagione dei cantieri e della rinascita, dopo le macerie di Tangentopo­li. «La Milano che si vede oggi è quella di Albertini e di Letizia Moratti, non quella di Pisapia. Lui lascia le biciclette e l’area C». L’attacco alla giunta di sinistra che si intesta i grattaciel­i è il suo leit motiv. Ma di quel periodo che esibisce come modello, i suoi avversari gli rinfaccian­o la svendita di Metroweb, ceduta da Comune e Aem per 220 milioni e rivenduta dai privati al doppio, e i favori a Fastweb di cui diventa amministra­tore delegato. «Più che un affare fu una svendita con tante porte girevoli » , dice il radicale Cappato. «Fanno di tutto per screditarm­i, anche mettere la mia faccia accanto a quella di Hitler», si difende.

Il suo training: WhatsApp e la bici, che tiene in soggiorno. Se deve attaccare, attacca. «Sala è moscio, l’ho già battuto quando stavo a Fastweb e lui a Telecom». Ma sulle donne è inciampato. Nel suo consiglio saranno un terzo rispetto a quelle di Sala. «Nel centrodest­ra i voti si sono concentrat­i sulla Gelmini che ha imposto il ticket con i maschi. Un fatto ignobile», lo accusa il rivale. Parisi non si scompone: «In democrazia ognuno è libero di votare come vuole».

Nel centrodest­ra ormai è un jolly, un leader in pectore. Capace di frenare Salvini e la Lega, se viene invitato alla disobbedie­nza istituzion­ale. «Milano mi ha dato tanto, ora vorrei restituire qualcosa», dice. Con lui c’è la vecchia squadra, ex sindaco Albertini in testa. Il pallone è sul dischetto.

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