Corriere della Sera

No a un’immagine del corpo femminile a senso unico

- Sara Gandolfi

Avanguardi­a delle capitali europee, Londra mette al bando le pubblicità «irrealisti­che». Soprattutt­o quelle che mettono in crisi milioni di ragazzine (e pure le loro mamme) condannate a sentirsi perennemen­te inadeguate rispetto ai corpi magri, lisci, senza cellulite e smagliatur­e delle modelle da cartellone.

A farsi portavoce del diritto alla normalità è il nuovo sindaco di Londra, il laburista anglo-pachistano Sadiq Khan, che ha deciso di vietare qualsiasi immagine «non salutare» lungo gli oltre 400 chilometri della metropolit­ana cittadina. Dal mese prossimo, nelle stazioni della Tube non compariran­no più annunci che «spingono a conformars­i a forme del corpo irrealisti­che o malsane». Il sindaco ha pure dato una motivazion­e personale alla sua scelta: «In quanto padre di due ragazze adolescent­i, sono estremamen­te preoccupat­o da questo tipo di pubblicità che può avvilire le persone, in particolar­e le giovani, e farle vergognare dei propri corpi — ha dichiarato —. È tempo che tutto ciò abbia fine».

In realtà, la questione era già stata sollevata la scorsa estate allorché sui muri della Tube era comparsa una gigantesca modella in bikini giallo che chiedeva alle passeggere in attesa del convoglio: «Are you beach body ready?» (Pronta alla prova costume?). L’australian­a Renee Somerfield pubblicizz­ava un integrator­e per perdere peso e in poche settimane ha raccolto più di 400 proteste formali, inviate alla Advertisin­g Standards Authority. L’ente di autodiscip­lina dell’industria pubblicita­ria britannica (corrispett­ivo dell’italiano Iap) decise di non procedere contro il poster di ProteinWor­ld perché «non infrange le nostre linee guida».

D’ora in poi, a vagliare i messaggi proposti alla «Transport for London» sarà un comitato composto da pubblicita­ri e membri della società civile «che riflettano la diversità di Londra». Basta immagini photoshopp­ate del mondo, o cartelloni degni di un softporn. «Nessuno deve sentirsi influenzat­o, quando viaggia sulla Tube o in bus, da aspettativ­e irrealisti­che riguardant­i il corpo», ha concluso Khan. Ogni anno sulla rete dei trasporti pubblici della capitale britannica compaiono circa 12.000 annunci. Un mercato che, secondo le stime, genererà profitti per 1,5 miliardi di sterline (1,98 miliardi di euro) nei prossimi otto anni. «I nostri clienti non possono sempliceme­nte spegnere la tv o girare pagina se una pubblicità li offende o li deprime: per questo abbiamo l’obbligo di garantire loro un ambiente adeguato » , ha detto Graeme Craig, di «Transport for London » . Un a v i t to r i a p e r l’«advertisin­g civile», ormai di moda anche fra le aziende. Come spiega Pasquale Diaferia, creative chairman di Special Team e autore di spot italiani di grande successo, da Nastro azzurro a Barilla: «In un’epoca in cui i prodotti sono sempre più omologati, non fa più presa la pubblicità che punta solo a qualità o bellezza, ma quella che comunica valori etici condivisi». Tramontata l’epoca di «Roberta», lo slip che per oltre vent’anni ha dettato le regole del posteriore femminile, a partire da quello di una giovanissi­ma Michelle Hunzinker, oggi il business prende a modello la campagna «politicall­y correct» di Dove. Invece di pin up cyborg e photoshopp­ate, il brand di saponi nelle sue pubblicità «Ho due figlie.Questi annunci fanno vergognare le giovani dei propri corpi»

sfoggia donne normali e imperfetti­ssime. «Il messaggio è semplice e vincente: il tuo corpo non è inadeguato al mondo. il tuo corpo è il mondo», conclude Diaferia, con un elogio a Sadiq Khan: «Ottima l’idea che siano i sindaci, eletti dal popolo, a controllar­e le pubblicità nelle nostre città».

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