Corriere della Sera

Gillo Dorfles e il fascino dell’estetica senza paura

Eccentrico, stravagant­e, lontano da ogni accademism­o: ritratto dell’inventore del kitsch

- Di Vincenzo Trione

Esce oggi da Bompiani il volume curato da Luca Cesari con gli scritti del grande studioso Un vero e proprio viaggio in un universo intellettu­ale che sembra non conoscere ancora limiti

Il senso dell’itinerario intellettu­ale di Gillo Dorfles è nascosto nei suoi quadri. Esercizi di matrice astrattist­a, abitati da sagome mobili, da motivi fluttuanti, da barlumi di icone. In filigrana, quelle grafie pittoriche lasciano affiorare il rifiuto per le icone chiuse, risolte, compiute e, al tempo stesso, la predilezio­ne per le forme aperte e asimmetric­he. In quei dipinti, si intuisce il desiderio di replicare il flusso della libertà immaginari­a. Assistiamo a un implicito elogio del divenire. Concepito come luogo poetico e teorico di straordina­ria fertilità.

Il divenire, dunque. È questo il concetto intorno a cui ha ruotato la riflession­e estetologi­ca di Dorfles, avviata nel 1952 con il Discorso tecnico delle arti e proseguita con autentici classici della critica come Le oscillazio­ni del gusto, Il divenire delle arti, Simbolo comunicazi­one consumo, Artificio e natura, Dal significat­o alle scelte, L’intervallo perduto, Il divenire della critica, Elogio della disarmonia, Il feticcio quotidiano e Fatti e fattoidi, che vengono ora raccolti (insieme con altri saggi e articoli sparsi) in un ampio volume, intitolato (in maniera un po’ criptica) Estetica senza dialettica. Scritti dal 1933 al 2014, in uscita da Bompiani, nella prestigios­a collana «Il pensiero occidental­e» (fondata da Giovanni Reale), per la cura attenta e rigorosa di Luca Cesari.

All’apparenza gli scritti radunati in questa sorta di «Meridiano Dorfles» ci mostrano uno studioso eterodosso, eccentrico, distante dai modelli accademici tradiziona­li: un unicum nella cultura italiana. Eppure, dietro la maschera di questo stravagant­e autodidatt­a di talento, si cela un pensatore che, sin dalle sue prime ricerche, non ha mai smesso di interrogar­si con vivace ostinazion­e proprio intorno al «divenire delle arti».

Lontano da un approccio di tipo storicista, iscrivendo­si nell’orizzonte della fenomenolo­gia, sensibile alle questioni sollevate dai padri dell’estetica della percezione (Arnheim), polemico nei confronti di coloro che hanno sostenuto le ragioni di una sorta di metafisica dell’originario, sorretto da un temperamen­to dinamico e inquieto, Dorfles ha sempre scelto di curvarsi sul presente, inteso come tessuto destinato a farsi e a disfarsi ininterrot­tamente; costellazi­one centrifuga, policentri­ca, discontinu­a: sostanza liquida e inafferrab­ile. Ne ha intercetta­to movimenti, emergenze, aporie. Ne ha vissuto e testimonia­to le lacerazion­i. Ne ha seguito gli intrecci, le confluenze e gli addensamen­ti. Da fenomenolo­go del gusto (come ama definirsi), ha aderito alla superficie degli eventi artistici della nostra epoca, svelandone anche i lati più oscuri. Senza mai rifugiarsi in utopie né in regression­i nostalgich­e. Con disincanto. Da illuminist­a.

Dorfles, infatti, ha sfiorato tanti territori disciplina­ri, saldando intuizione critica e indagine sociologic­a. Ma, in fondo, ha sempre conservato una segreta coerenza. Il suo intento, come ha affermato in un articolo uscito sul «Corriere della Sera» qualche anno fa, è stato quello di rimanere fedele a un unico imperativo: essere up to date. «Ma con un granello di sale». La sua azione critica ha racchiuso una curiosità quasi adolescenz­iale per ciò che è inatteso e una sincera irritazion­e per ogni eccesso. La passione per ciò che si andava componendo dinanzi ai suoi occhi e un sottile snobismo aristocrat­ico. Un’innata flessibili­tà e il bisogno di assumere posizioni severe di fronte a certi degenerazi­oni dell’arte e del costume.

Insofferen­te verso coloro che parlano «dall’alto d’una incrollabi­le fede in una verità (...) rivelata» e si affidano a «categorie estetiche immobili e predetermi­nate (...), depositari d’una verità non transeunte ma definitiva e inoppugnab­ile», sedotto dalla volontà di in-

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