Corriere della Sera

Danza, dramma e ritmo nelle invenzioni di Platel

- di Franco Cordelli

In scena al Sadlers Wells di Londra, En avant, march! di Frank Van Laecke e Alain Platel è un capolavoro: è uno spettacolo che dice molto del teatro, del mondo e della vita com’è e come dovrebbe essere. Tra i tanti produttori vanta lo stabile di Torino, ma nasce a Gand, città natale di Platel.

Di che si tratta? Non proprio di uno spettacolo di danza. Esso appartiene in pari misura alla coreografi­a, al teatro-immagine, al teatro di drammaturg­ia e al teatro musicale. In altri anni lo si sarebbe qualificat­o teatro d’avanguardi­a e la questione si sarebbe chiusa così. Oggi la parola avanguardi­a è un relitto o una citazione, quindi dobbiamo insistere nel sottolinea­re la differenza tra uno spettacolo siffatto e tutto il resto.

In En avant, marche! tutto è inventato: parole, movimenti, musica e perfino gli interpreti — se si pensa che i tanti musicisti vengono di volta in volta scritturat­i nelle varie città dove lo spettacolo ha luogo. Descriverl­o è un’impresa impari, tale è la moltitudin­e degli eventi cui assistiamo o che ascoltiamo. Dirò così: L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello è solo un punto d’avvio. Il rocamboles­co Wim Opbrouck dopo un lungo momento di meditazion­e si presenta al pubblico, in una lingua al limite dell’incomprens­ibile (il plurilingu­ismo è uno dei temi cruciali), dicendo d’avere un fiore in bocca, un suono dal dolce nome di epitelioma. Pirandello finisce qui. Ma comincia lo spettacolo. Wim, che era il primo dei mille fiati presenti in scena, man mano che vengono alla ribalta gli altri, va sul fondo, va ai cimbali.

Egli è in attesa della morte. I suoi compagni si preparano, indossano una divisa ricca di alamari dorati, incollano alla bocca le loro trombe, i loro fagotti, i loro sax, gli strumenti di cui ignoro il nome. Avevano aperto le sedie di legno, le avevano disposte in bell’ordine. Le due attrici d’oro vestite, Chris Thys e Griet Debacker, avevano cominciato i loro volteggi. Ma presto l’insieme si scioglie, alle spalle si scorge quella parete con cinque pertugi, orizzontal­i o verticali — da cui alcuni si affacciano, sempre cercando una nuova posizione. Infine tutti ritornano, Wim è rimasto là in fondo.

Eppure ora avanza, acciuffa un microfono, parla. Ma parla anche una delle sue donne d’oro. Anche lei ha un microfono, ci urla dentro le più comuni parole d’amore: «Senza di te non potrò vivere». Può darsi che Wim, sentendo incombere la fine, sia disperato. Non lo dà a vedere. La vitalità (la sua ultima vitalità) è tutto. Egli parla e balbetta e suona: continua a battere l’uno contro l’altro i due piatti, scandisce il ritmo accompagna­to dal suono della fanfara — come se tutto ciò che se ne va, si disperde, si frantuma in mille pezzi, potesse ricomporsi in quella procession­e.

In sei, in otto, in dieci sollevano il corpo di Wim e la musica che di nuovo irrompe fosse ciò che ci può unire, perfino dopo la fine. Sempre un nuovo capo banda, un nuovo direttore d’orchestra arriverà. In attesa della morte si va avanti, si marcia contro la morte. La classe morta non è mai davvero morta.

 ??  ?? Con la fanfara Hendrik Lebon e, a destra, Griet Debacker in «En Avant Marche!» di Frank Van Laecke e Alain Platel
Con la fanfara Hendrik Lebon e, a destra, Griet Debacker in «En Avant Marche!» di Frank Van Laecke e Alain Platel

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