La strage di Orlando
Nutro un forte sospetto, per non dire una fondata convinzione, che dietro la strage di Orlando non ci sia affatto un terrorista, un lupo solitario filo Isis come al cinico Trump farebbe comodo pensare e denunciare. E nemmeno un uomo malato, con un disturbo bipolare. È probabile invece che possa esserci un uomo che ha maturato un odio nei confronti di se stesso perché incapace di accettare la propria natura e un odio nei confronti di un mondo che desiderava, sognava ma al quale non avrebbe mai potuto appartenere. Penso che forse questa era l’ennesima tragedia della discriminazione, della cultura retrograda nata e cresciuta nelle mura domestiche. Ho pensato subito al film con il formidabile Kevin Spacey, «American Beauty», dove uno dei protagonisti è un colonnello dei Marines in pensione, violento e autoritario, specie col figlio, convinto che sia l’unico modo per dimostrare la propria virilità. Alla fine il colonnello rivela la sua vera identità, quella omosessuale, nascosta a se stesso e a tutti gli altri per tutta la vita e tutto finisce in tragedia. Nella tragedia di Orlando è probabile che ci sia stato un signor Mateen, che ha cresciuto il figlio Omar educandolo al mito dell’uomo autoritario, maschilista, che è uomo solo se eterosessuale e dove i gay non sono uomini e verranno puniti da Dio. Omar è cresciuto imprigionato nella gabbia costruita dal padre, dalla quale non poteva uscire se non ripudiato e abbandonato. Un macigno che non poteva più sopportare. E allora è cresciuto l’odio, più facile da provare verso se stesso e i suoi simili che verso il padre, ogni giorno sempre di più per quel mondo che desiderava e non poteva vivere liberamente, fino alla spaventosa strage. Non è un caso che prima di uccidere, Omar abbia chiamato più volte la polizia perché voleva che restasse la testimonianza, soprattutto per suo padre, che lui, Il doppio turno alle comunali