L’eterna strategia dell’orgoglio «Dicevano che eravamo scarsi...»
Florenzi e compagni: «Adesso molti si sono dovuti rimangiare le parole»
La sindrome da accerchiamento 3.0: così diversa dal silenzio di Spagna ’82, da una parte la stampa con le sue insinuazioni, dall’altra Bearzot, uomo solo al comando di un gruppo ferito e vincente nel momento più impensabile. Così lontana anche dai veleni di Calciopoli del 2006, dai guai giudiziari, dalle accuse di essere solo eterni bamboccioni: Lippi prese la Nazionale e la trasformò in un manipolo di campioni. Del mondo.
All’Europeo l’atmosfera è meno solenne e definitiva. Ma l’accerchiamento tira sempre, eccome se tira. E Antonio Conte ha battuto molto anche su questo aspetto mentale. Perché individuare un nemico o comunque un motivo di riscatto (per non dire di vendetta), cementa ulteriormente il gruppo, dandogli quello spirito di branco che può diventare un valore aggiunto in competizioni così brevi. Contro tutto e contro tutti. E allora, nell’epoca dei social si va avanti a mezze frasi, piccole sentenze piccate, magari brillanti, ma tutte incentrate sullo stesso tema: l’orgoglio e la reazione di una Nazionale che per i tifosi e per la critica è tra le più povere di qualità di sempre. «Ora siamo un po’ meno scarsi di prima…» ha sintetizzato non certo a caso capitan Buffon, subito dopo il 2-0 su una delle squadre più accreditate dell’Europeo. Il sarcasmo ovviamente non è passato inosservato. Il tema però è molto più sfuggente rispetto a quelli caldi del Mundial spagnolo o a quelli incandescenti di dieci anni fa. Ed è scivoloso per tutti: per quelli che hanno già scolpito le loro sentenze e rischiano di essere smentiti ulteriormente. Ma anche per chi cerca di dimostrare il contrario e chissà se e quanto ci riuscirà. Cosi si procede a vista, per messaggi brevi, ma sempre più efficaci: «Un sondaggio svedese dice che l’Italia è la squadra più pericolosa? Siamo orgogliosi di questo — attacca Alessandro Florenzi — perché la Nazionale non è quella che i giornali descrivevano: dicevano che eravamo scarsi, che non avremmo passato nemmeno il turno, che non abbiamo giocatori tecnici. Adesso molti si sono rimangiati le parole». Del resto Marco Parolo aveva avvisato i naviganti già a Coverciano: «Se siamo così scarsi come si dice lo vedremo alla fine». Sottointeso: faremo di tutto per dimostrare il contrario. E più ci provocate, più reagiremo.
Emanuele Giaccherini ha invocato lo spirito del Leicester dei miracoli: «Tutti sappiamo che non siamo favoriti, ma si può vincere anche senza partire come tali. Se ci dicono che non siamo più l’Italia di una volta ci danno ancora più spinta:
Un grande classico Come nell’82 e nel 2006 le critiche stanno cementando il gruppo Che ora è un branco
dobbiamo essere compatti come una squadra di club, dove tutti si aiutano e sanno quello che devono fare». Un altro dei reduci del 2006, Daniele Rossi, a polemiche precise (sul 10 a Thiago Motta, soprattutto sugli onnipresenti social network) aveva replicato con altrettanta decisione («Dovrebbero sciacquarsi la bocca prima di parlare male di lui») e aveva ricordato, tra i tanti aspetti tecnici, atletici e tattici, quanto pesa quello psicologico: «Tutti puntano a motivare il gruppo, ma Conte riesce veramente a toccare certe corde. Ed è evidente che sta picchiando sul tasto giusto, quello di un’Italia che tutti danno per sfavorita. Ma che può sorprendere». Fino a dove, non si sa. Però la sindrome di accerchiamento è sempre un tonico potente.