È L’ORA DI MILANO ANCHE IN POLITICA
Forse è giunta l’ora di Milano: l’ora di contare nella politica italiana. Dove, si sa, Milano non ha mai avuto un ruolo importante, pari almeno alla sua importanza in tanti altri ambiti. Tutta compresa e identificata nel suo preminente ruolo di rappresentante per eccellenza della tradizione municipalistica italiana, del suo orgoglio e delle sue rivendicazioni, del suo sapere fare e saper fare «da sola», proprio per questo essa ha sempre alimentato un punto di vista più o meno apertamente polemico verso la politica nazionale e il luogo simbolo di questa, verso Roma. Rispetto alla quale Milano ha costantemente voluto mantenere una contrapposizione carica di mille umori e di mille ragioni.
Egualmente per questo essa è sempre stata il cuore della «questione settentrionale», che in contrappunto e insieme con l’altra, quella «meridionale», valgono a sottolineare la permanente difficoltà della Penisola di essere un solo Paese.
È Milano insomma la vera capitale storica dell’antipolitica italiana. Non a caso essa ha puntualmente dato il via a tutte le «rivoluzioni» contro il potere «romano». Da quella di fine ‘800, a stento domata dai cannoni di Bava Beccaris, a quella del «maggio radioso» e dei «fasci di combattimento» del 1919, che aprì la via al fascismo, a quella del «vento del Nord» del Cln nell’aprile ‘45, a quella di Mani Pulite e di Berlusconi da cui ha preso avvio la pseudo Seconda Repubblica.
ciamo così, il massimo tasso di antipolitica istituzionale che il sistema può permettersi. Ma sufficiente a sbarrare il passo all’antipolitica anti istituzionale. Non a caso a Milano, e solo a Milano.
Precisamente per questo oggi è da Milano e solo da Milano che il sistema politico — dirò meglio: Forza Italia e il Pd, i due principali partiti che con tale sistema s’identificano storicamente — potrebbe ripartire, per riguadagnare un po’ di credibilità di fronte alla marea montante della delegittimazione grillina. Mettendo in campo, per l’appunto, quella massima dose di antipolitica che esso è stato in grado di esprimere dal suo interno.
Che nel panorama desertico della Destra o del centrodestra che sia, una personalità come quella di Parisi sia oggi l’unica in grado di proporre credibilmente qualcosa, di esprimere in modo convincente e con tratti accattivanti di normalità scevra di stucchevole professionismo politico, una linea di civile alternativa alla Sinistra, dovrebbe essere evidente a chiunque. Così come mi sembra indubbio che se domani, mettiamo, Matteo Renzi chiamasse, chessò, alla vicepresidenza del Consiglio Giuliano Pisapia (cioè il vero vincitore del ballottaggio di dieci giorni fa: sarebbe bastata infatti una sua sola parola critica e Sala sarebbe finito nella polvere), mi sembra indubbio, dicevo, che