La nuova faglia non corre più tra destra e sinistra
Vertice Renzi: ma non vedo rischi per l’Italia «Pronti a intervenire per i risparmiatori»
Voltare pagina, anche per evitare che altri Paesi seguano l’esempio della Gran Bretagna. Il premier Matteo Renzi va oggi a Berlino per il vertice con Germania e Francia con un auspicio: «L’Europa parli un po’ meno di banche, più di valori e di giovani. Pronti ad intervenire per dare certezza ai risparmiatori».
Può suonare strano dirlo proprio adesso, ma l’Europa aveva mai raggiunto un’unificazione politica intensa come in questi mesi. Il problema è che non riguarda la disponibilità dei governi a creare istituzioni democratiche comuni: riguarda le menti e i cuori degli elettori. Di rado il tenore dei discorsi e le linee di frattura nelle opinioni politiche in Europa erano state tanto simili in tanti Paesi simultaneamente. Un’occhiata al disfacimento dei partiti in Gran Bretagna in queste ore non fa che confermarlo. Non è più tempo di destra contro sinistra, o di centrodestra contro centrosinistra. Il referendum britannico ha fuso nel rifiuto una coalizione di ex operai laburisti e piccoloborghesi ultra nazionalisti di destra, ricchi benpensanti di Londra e nostalgici dell’impero. Fatte le dovute differenze, non illudiamoci che altrove sia diverso. Ovunque in Europa, anche in Italia, dall’altra parte della barricata si muove una strana alleanza di élite degli affari, intellettuali, ceti produttivi e istruiti delle grandi città, giovani che si lamentano del mondo lasciato loro dagli anziani ma al contrario di questi disertano le urne nei momenti decisivi.
La nuova linea di faglia nell’Europa di questo secolo passa fra questi due campi. Gli scontri ideologici del ‘900 non sono più altrettanto urgenti. Oggi è in corso un confronto esistenziale in Gran Bretagna, Francia, Olanda, Danimarca, Svezia, Polonia, Ungheria, Austria, Italia, Grecia fra nazionalisti e internazionalisti. Per meglio dire, fra chi cerca soluzioni a problemi globali dentro la propria nazione, anche a costo di alzare qualche ponte levatoio; e chi invece continua a pensare che soluzioni comuni continueranno a garantire prosperità, cultura e la società aperta a cui siamo abituati.
Per questi ultimi, l’errore più grave sarebbe l’arroganza. Convincersi di avere così chiaramente ragione che chi non capisce deve essere senz’altro ottuso. Il referendum britannico, come quello greco un anno fa, ha dimostrato quanto questa scissione passi individualmente dentro milioni di persone. L’uomo europeo si scopre obbligato decisioni complesse che non aveva messo in conto. Nel 2015 i greci che gridavano in piazza il loro “No” alla Troika erano gli stessi che correvano in banca a mettere in salvo i risparmi, presi dal panico per le conseguenze delle loro stesse scelte. E venerdì, dopo il referendum, Google in Gran Bretagna ha registrato un’ondata di domande per sapere cosa significa la rottura con l’Europa: la sindrome del rimorso è già percepibile.
Questo mostra che le forze che credono nella società aperta e in un’Europa unita devono fare molto di più per farsi capire da tutti. E conservatori, moderati e progressisti del ‘900 devono fare molto di più per coalizzarsi: se aspettano di approfittare delle reciproche difficoltà, rischiano di aprire la strada a forze che non condividono i loro stessi valori europei e possono schiacciarli.
Soprattutto, chi crede in un’Europa e in una società aperta deve dimostrare che queste non sono solo parole. L’élite londinese non è cleptocratica come quella di Atene, ma entrambe si erano illuse di poter scavare un solco di casta fra sé e le maggioranze; per questo ne sono state travolte. Servono con urgenza in Europa politiche che ricostituiscano il ceto medio, lo difendano, gli ridiano speranze e accesso a un’istruzione di qualità. Solo in comune sono possibili. L’alternativa è in mano ai tragici manipolatori di opinione che abbiamo appena visto, non per l’ultima volta, all’opera a Londra.