Corriere della Sera

«Salvare Moro? Gava ci bloccò»

Il boss camorrista ai pm: era pronta un’irruzione di forza con uomini armati

- di Giovanni Bianconi

«Potevamo salvare Aldo Moro, ma Gava ci fermò». Nei verbali dell’interrogat­orio in carcere il boss camorrista Raffaele Cutolo dice la sua versione: era pronta un’irruzione.

«Non per fare il buffone, ma Aldo Moro lo potevo veramente salvare. Allora, con la mia organizzaz­ione, eravamo fortissimi, anche su Roma». Poi però, proprio da Roma, arrivò il contrordin­e, recapitato­gli da Enzo Casillo, il «braccio destro» latitante che circolava con una tessera dei servizi segreti in tasca: «Mi disse che i suoi amici avevano detto di farci i fatti nostri, di non interessar­ci di Moro... Erano politici di alto grado... La Democrazia cristiana, comunque...». Ma chi, in particolar­e? «Mi sembra di parlare male, adesso che è morto. Gava, comunque».

Il salto all’indietro di Raffaele Cutolo, settantaci­nquenne boss della Nuova camorra organizzat­a detenuto dal 1979, si arricchisc­e di nuovi particolar­i. E nell’ultimo interrogat­orio, reso tre mesi fa ai pubblici ministeri di Roma, sostiene che a bloccare l’intervento per liberare il presidente della Dc sequestrat­o dalle Brigate rosse, nella primavera del 1978, fu nientemeno che Antonio Gava, leader democristi­ano di sangue partenopeo e futuro ministro dell’Interno. Glielo rivelò Casillo in persona, «che a me mi doveva dire tutto, ogni virgola».

A seguito di quell’avvertimen­to, il progetto messo a punto dal capo camorrista si bloccò: «Era un piano semplice, uomini dell’organizzaz­ione si sarebbero portati, armati, presso l’appartamen­to, visto che solo 4-5 persone vigilavano sul covo di Moro». Un’irruzione «di forza... stavano al pianterren­o», afferma Cutolo. La strategia l’aveva studiata insieme a Nicolino Selis, un malavitoso della banda della Magliana conosciuto in carcere e in seguito promosso a suo capozona su Roma. Era stato proprio lui a fornirgli le prime informazio­ni sulla prigione del presidente democristi­ano: «È venuto a trovarmi ad Albanella (paese in provincia di Salerno dove Cutolo s’era rifugiato e fu arrestato nel 1979 ndr), e mi disse se mi interessav­o a Moro perché lui, non volendo, stava proprio latitante, con la sua fidanzata, dove stava Moro. Nello stesso palazzo».

È una storia già raccontata oltre vent’anni fa, sulla quale non sono mai stati trovati riscontri attendibil­i, che il boss ribadisce dopo che nel settembre scorso un paio di collaborat­ori della nuova commission­e d’inchiesta sul caso Moro sono andati a trovarlo in carcere. In quell’occasione Cutolo avrebbe aggiunto di poter chiarire altri misteri sul sequestro e l’omicidio del presidente dc, e così il procurator­e aggiunto di Roma Michele Prestipino e il sostituito Eugenio Albamonte sono andati a sentirlo nel carcere di Parma, il 25 marzo scorso. Ne è venuto fuori un verbale, ora a disposizio­ne dei commissari, nel quale il boss ripete la stessa versione, comprensiv­a del fatto che poco dopo la notizia avuta da Selis, il suo avvocato Francesco Gangemi (democristi­ano) gli chiese di acquisire notizie sulla prigione di Moro. Cutolo replicò di voler incontrare l’allora ministro dell’Interno Cossiga, che declinò l’invito: «Fu l’unico a comportars­i bene, nel senso che disse “io non lo posso incontrare perché sennò lo devo fare arrestare, però se si interessa vediamo quello che si può fare”» . Poi arrivò Casillo a fermare tutto, e Cutolo dovette spiegarlo a Gangemi: «Piangeva, diceva se potevo fare qualcosa, ma io non ho fatto più niente. Questa è tutta la situazione». Un copione che più o meno coincide con ciò che hanno raccontato i pentiti di mafia, da Tommaso Buscetta in giù, sull’intervento di Cosa nostra: richiesta di liberare Moro fermata da un successivo ripensamen­to in casa democristi­ana.

Tre anni più tardi, durante il sequestro dell’assessore campano della Dc Ciro Cirillo, con Cutolo già in carcere, le cose andarono diversamen­te: trattativa e rilascio dell’ostaggio, senza blitz ma grazie a un sostanzios­o riscatto. «L’ho salvato, e per premio mi mandarono all’Asinara», si rammarica ora Cutolo. Secondo il quale per liberare Cirillo andò a trovarlo in galera anche Adalberto Titta, un misterioso ufficiale dell’Aeronautic­a, ex repubblich­ino, considerat­o il capo di un servizio segreto parallelo e clandestin­o: «Mi disse anche il fatto dell’aereo di Ustica... “Lì, dice, è successa una guerra stellare”... Ma più che altro veniva per Cirillo, a implorarmi, perché dice che Cirillo, se stava ancora prigionier­o, parlasse di tante cose della Dc».

Gli emissari della commission­e Moro l’avevano sollecitat­o su altri particolar­i, ma il boss risponde solo con qualche «sentito dire», ad esempio sui contatti tra brigatisti e ’ndrangheti­sti «per avere armi». Di ulteriori segreti non c’è traccia, Cutolo non ne ricorda: sebbene «allora io ero all’apice, mi dicevano tutto, ogni cosa che succedeva... Se sapessi altre cose le direi, perché non ho niente da perdere né da guadagnare. Anzi, da guadagnare per aiutare la famiglia Moro a scoprire la verità, ma penso che non si scoprirà mai... Perché, come si dice, quando ci sono implicate persone molto in alto... la puzza più in alto è e più si sente. Non l’hanno voluto salvare, questo ve lo posso dire».

All’apice «Allora ero all’apice mi dicevano tutto. Non lo hanno voluto liberare»

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