Il ritratto
più difficile il rapporto con fondazioni globali come la mia. La partnership con l’Unione Europea e il Regno Unito continuerà perché è di reciproco interesse. Il tema umanitario è lì, come il commercio, c’è l’esigenza di mettere insieme i migliori talenti mondiali e lavorare insieme per risolvere le questioni più difficili. Ci sono sempre buone o cattive sorprese lungo un cammino, ma le cose vanno avanti».
Ma la propaganda xenofoba dice che gli immigrati si muovono e le malattie con loro.
Bill Gates, 60 anni, è nato in una famiglia di origini inglesi, tedesche, irlandesi e scozzesi fare con l’immigrazione. In Siria si sono registrati casi di poliomielite perché la guerra ha distrutto il sistema sanitario».
La sua visione del futuro contrasta con quella europea. Che impressione le fa l’Occidente? Vede un rischio di de-globalizzazione?
«No, non lo credo. La globalizzazione continuerà. Se guardiamo alle innovazioni scientifiche, all’idea di curare il cancro, sradicare polio e malaria, si tratta di attività globali. L’Europa dovrebbe essere orgogliosa di aiutare i Paesi poveri. I bisogni umanitari sono lì, la solidarietà serve a risolverli. Certo, sarà interessante vedere come l’Unione Europea e la Gran Bretagna svilupperanno la loro collaborazione. Ma continuerà a esserci, anche perché ne traggono benefici reciproci».
I populisti non finiranno per impedire una strategia lungimirante sull’immigrazione? Non è preoccupato da questa onda che va dall’Europa agli Stati Uniti?
«L’immigrazione è un tema controverso, ma non posso evitare di pensare che nel passato il grande problema era l’immigrazione europea verso l’America. Ecco, bisognerebbe esaminare la storia e vedere che grazie all’immigrazione gli Stati Uniti sono diventati un grande Paese. Capisco che ci sia gente che vede le cose cambiare troppo, o troppo in fretta; che è a disagio perché alcuni ricevono molto appoggio, altri no. C’è stata una reazione negativa, perfino in Germania, quando è sembrata aprirsi troppo ai migranti. Ma non c’è scappatoia su immigrazione, innovazione, globalizzazione: creano controversie, eppure non potranno essere rallentate».
La sindrome dell’assedio, però, esiste.
«È un problema dei politici ed è una percezione reale. E qualcosa va fatto. Ma la veduta estrema che nega i benefici del commercio, dello scambio di talenti che fa così bene al mondo, indica che questo processo offre più opportunità che svantaggi. Anche su questo, gli Usa offrono ottimi esempi».
Lei ha creato migliaia, forse centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma nell’opinione pubblica c’è chi ritiene che la globalizzazione e l’economia digitale distruggano anche molti vecchi posti di lavoro. Gli stessi Donald Trump o Bernie Sanders sono visti come sottoprodotti di una rivolta contro l’economia mondiale e le sue élite. Può rassicurare l’opinione pubblica?
«Preferirei non dire nulla su Bernie Sanders».
Ci aiuti comunque a inquadrare il problema.
«Negli ultimi duecento, venti o cinque anni sono accadute molte cose positive. La gente vive meglio, si cerca di rendere l’energia meno cara, di avere un’aria più pulita. E i posti di lavoro creati nello spazio dell’informazione tecnologica hanno dato enormi opportunità. Questo è già un cambiamento. Ora aiutiamo i poveri a sopravvivere, e mi chiedo chi dovrebbe finanziare questi aiuti se non i Paesi ricchi. Non credo che si possa ritenere controversa la creazione di un vaccino contro la malaria o l’Hiv».
Signor Gates, che cosa rimane di Trey, «tre», come la chiamava sua nonna, grande giocatrice di bridge?
«Mi soprannominò Trey, come il tre delle carte, perché ero William III, nome che portava anche mio nonno. Di “Trey” credo mi siano rimaste la voglia di imparare e di conoscere. Ho sessant’anni, alcuni atteggiamenti infantili li ho superati. Ma mi è rimasta una grande curiosità, che mi permette di avere un approccio giovane alle cose. Mi ritengo molto fortunato».