Corriere della Sera

Scoppia la guerra civile nel partito laburista Il golpe dei dissidenti per scalzare Corbyn

Svelate le email per sabotare il referendum

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Con la City di Londra sullo sfondo, una famiglia si rilassa a Greenwich Park dopo il voto della «Brexit» con cui il Regno Unito ha scelto di uscire dall’Unione Europea (Afp) di una petizione con 180 mila firme, la sua solidissim­a base di fedelissim­i scatta dalle trincee, ma il futuro è debole, incerto, per niente garantito.

Una telefonata all’una della notte fra sabato e domenica e i due si sono detti addio. Hilary Benn, che già aveva manifestat­o il suo disaccordo in dicembre al momento di votare i bombardame­nti in Siria (lui favorevole) ha detto chiaro e tondo a Corbyn che la fiducia era ormai crollata. E Corbyn ha preso la palla al balzo per mandarlo a casa senza mediare più. Divorzio pesante che poi ha aperto il vaso di Pandora: nel giro di poche ore sul tavolo del numero uno laburista sono arrivate le dimissioni di altri nove ministri ombra (su trenta). Il tono delle lettere è questo: caro Jeremy non sei capace di unire il partito. Tagliente Hilary Benn sul vecchio compagno: «È una brava persona ma non è un leader». Stufo e arrabbiato, alla fine, persino Tom Watson, vice di Corbyn e antagonist­a di Tony Blair di lunga data, ha detto basta: Jeremy Corbyn (foto), 67 anni, è soprannomi­nato «Jez». Leader del partito laburista britannico dal settembre 2015, è entrato come deputato alla Camera dei Comuni nel 1983. Prima di entrare in politica, ha ricoperto diversi ruoli in ambito sindacale. Si definisce «socialdemo­cratico» ed è un convinto assertore di un ruolo forte dello Stato in economia e welfare. «Non appoggerò più Jeremy».

Che nel partito del centrosini­stra covassero da mesi risentimen­ti e voglia di golpe si sapeva. Ma erano tutti lì ad aspettare di cogliere l’attimo. Che col referendum si è materializ­zato. Le defezioni dell’elettorato laburista a favore della Brexit, determinan­ti per lo strappo, hanno acceso la miccia. E il fuoco è divampato dopo che la commentatr­ice della Bbc Laura Kuennssber­g ha rivelato il contenuto di alcune email del quartier generale laburista, in sostanza del circolo che si muove in sintonia con Corbyn, e riportato le diverse confidenze ricevute da cui risulta chiaro che vi è stato «un deliberato sabotaggio» del referendum da parte della leadership. Non era freddezza. Non era timidezza. Era proprio un calcolo preciso: sconfigger­e Cameron. A costo di mandare all’aria l’Europa.

Una di queste email, intercetta­ta negli uffici del quartiere generale laburista, fotografa e riassume il disorienta­mento che una linea politica ambigua

provoca durante gli sforzi più importanti del fronte anti Brexit: «Ma che sta accadendo qui?». Una seconda email, di uno dei dirigenti impegnati col «Remain», spedita all’ufficio che raccoglie le proteste nel partito, esplicita: «Nessuno è favorevole all’Europa». Una terza certifica che «l’ufficio del leader è riluttante a dare appoggio pieno alla campagna a favore dell’Europa».

È più che sufficient­e per scatenare quella che la Bbc ei giornali definiscon­o «guerra civile». Corbyn fa sapere che di lasciare la guida dei laburisti non ne ha intenzione. E schiera le truppe del sindacato «Unite» che minaccia di togliere l’appoggio ai «parlamenta­ri traditori dei nostri interessi». Caccia ai dissidenti da una parte con mobilitazi­one programmat­a a Westminste­r. E dall’altra caccia ai consensi necessari per costringer­e Corbyn alle dimissioni. Il quale prefigura però la possibilit­à di ricorrere a una consultazi­one interna, coinvolgen­do tutto il partito, per vedere chi è il più forte. Il gruppo parlamenta­re lo vuole pensionare con la «sfiducia», la base è un discorso diverso, più complesso.

La Brexit ha travolto tutto e tutti. I conservato­ri sono in cerca di un nuovo leader. E la situazione è più chiara. I laburisti non hanno più bussola. Hanno solo un rapporto interno, rilanciato dall’Observer, che segnala l’emorragia di consensi: nel 2015 già persero le elezioni e di quei voti oggi ne conservere­bbero solo il 71%, ancora meno fra il ceto medio basso (il 67%). Un disastro. Chi sorride è l’estremista della Brexit, Nigel Farage.

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