Corriere della Sera

Panama, il nuovo Canale tra gli Oceani

Le prime navi attraversa­no la terza corsia costruita dall’italiana Salini-Impregilo Il presidente Varela: «Avviciniam­o il mondo»

- dalla nostra inviata a Panama Sara Gandolfi

Giuseppe Quarta si svegliava ogni mattina alle 4.30 per arrivare in cantiere prima che il traffico bloccasse il ponte de las Americas, ma soprattutt­o per ascoltare nel silenzio dell’alba, sul bordo del canale di Panama, il canto degli uccelli in volo sulle nuove chiuse di Cocoli, una sfida ingegneris­tica senza precedenti che promette di cambiare la rotta delle supernavi del terzo millennio. Il project manager italiano che per quasi due anni si è concesso poche ore di sonno — «anche perché con un’opera così sulle spalle si va a letto preoccupat­i e ci si sveglia anche peggio» — ora può finalmente riposare. Il lavoro è concluso.

Ieri, qui, il silenzio ha lasciato il posto alla celebrazio­ne. Il presidente di Panama, Juan Carlos Varela, aveva invitato una settantina di capi di Stato, dal re di Spagna a Barack Obama, per l’inaugurazi­one del nuovo canale, o meglio di quella terza corsia tra Pacifico e Atlantico che ora permette il transito anche alle navi NeoPanamax, i nuovi giganti del mare finora costretti a circumnavi­gare il Sudamerica o ad allungare fino a Suez. Alla fine — colpa della Brexit o degli strascichi dei Panama Papers — si sono presentati solo dodici leader, perlopiù regionali, affiancati dalla moglie del vicepresid­ente Usa, Jill Biden, e dai delegati di altre 60 nazioni.

La vera festa era nei sorrisi dei panamensi che sventolava­no bandiere, proclamand­o l’orgoglio di una piccola nazione che viaggia con tassi di crescita annui del 6% e vuol far dimenticar­e in fretta scandali antichi e recenti. «Il canale è la rotta che unisce il mondo — ha detto Varela — e questo è un giorno molto importante per il nostro Paese. Il canale è del popolo, a lui ora devono arrivare i profitti». Le autorità fanno spallucce alla crisi del commercio marittimo: «Abbiamo già 166 prenotazio­ni per la nuova corsia», assicurano, e a pieno regime da qui passeranno 15 navi al giorno.

La prima è stata la Cosco Shipping Panama — cinese, ovviamente — un gigante di ferro lungo 300 metri, capace di trasportar­e un carico tre volte superiore a quello dei mercantili che transitano da oltre un secolo per il «vecchio» canale. Alle prime luci dell’alba, il capitano panamense Peter Pusztai ne ha preso la guida all’imbocco sull’Atlantico e l’ha condotta oltre la prima chiusa di Agua Clara. Pusztai è un veterano del canale, eppure ieri era nervoso: «I fisici e gli ingegneri fanno i loro calcoli, ma poi tocca a noi fare i conti con la realtà», ci ha detto con un sorriso tirato.

Il sangue freddo del pilota è indispensa­bile. Ogni manovra ha in sé un possibile rischio. Le variabili sono tante: il vento, le correnti, il movimento dell’acqua da una vasca all’altra. Quando si governano dei bestioni come questi i margini di errore sono ridotti ai minimi termini: le NeoPanamax sfiorano in larghezza i muri del cana-

Super mercantili Aperto il transito ai giganti del mare finora costretti a circumnavi­gare il Sud America o arrivare a Suez

le, guidate da un rimorchiat­ore che a malapena trova spazio in lunghezza tra la nave e la chiusa. Ieri è andato tutto come previsto. Il nuovo sistema, composto da tre camere d’acqua, ha sollevato di 27 metri, come un gigantesco ascensore, il mercantile, dal livello dell’oceano fino a quello del grande lago Gatún. Dopo otto ore la nave è spuntata sull’altro lato e ha cominciato la discesa verso il Pacifico attraverso le chiuse gemelle di Cocoli. Sospira Giuseppe Quarta, project manager di Salini-Impregilo e amministra­tore delegato del Consorzio italo-spagnolobe­lga che sette anni fa vinse a sorpresa l’appalto (3,1 miliardi di dollari), soffiandol­o agli americani di Bechtel. Poi snocciola le cifre: «Abbiamo scavato 70 milioni di metri cubi di roccia, gettato 55 milioni di metri cubi di calcestruz­zo, installato 270 mila tonnellate di ferro».

È stata un’impresa titanica costruire i due sistemi di chiuse e gli adiacenti bacini per il riciclo dell’acqua, trasportar­e dall’Italia le sedici gigantesch­e paratoie — sliding doors da 4.000 tonnellate l’una, che chiudono in soli 4,25 secondi — risolvere decine di problemi tecnici, come la mescola di calcestruz­zo da cui filtrava acqua. E resistere alle Cassandre, perlopiù statuniten­si, che preannunci­avano disastri. Resta aperto un contenzios­o di 3,4 miliardi di dollari per extra costi con l’Autorità del canale. Ma la consegna è fatta. «Abbiamo costruito la nuova via del commercio mondiale», ha commentato ieri Pietro Salini.

Una vittoria per il know-how italiano ma soprattutt­o per Panama che dal 31 dicembre 1999 ha preso in mano le redini del canale costruito un secolo fa dagli Usa nel proprio «cortile di casa». «Da più di 500 anni siamo una regione di transito — commenta Gilberto Perez, docente di amministra­zione marittima — ma oggi il canale è gestito meglio di quando c’erano gli americani». Ogni anno genera profitti per 2,5 miliardi di dollari e la terza corsia potrebbe far raddoppiar­e gli incassi. La sfida è conquistar­e i mega-cargo che imbarcano fino a 14.000 container e i «tanker» che trasportan­o gas liquefatto fra la costa Est degli Usa e l’Oriente.

Le autorità di Panama trasudano ottimismo. Varela ha lanciato un piano di investimen­ti a tutto campo: ampliament­o dei porti, nuovi terminal per il gas e infrastrut­ture, ma anche progetti abitativi, educativi, sanitari e il restauro della città di Colon, un gioiello architetto­nico all’imboccatur­a atlantica.

Panama produce poco o nulla. Il 68% del suo Pil arriva dal cosiddetto terzo settore, servizi e commercio. E ora vuole rifarsi il look, vincere la reputazion­e di Paese corrotto (l’ex presidente Martinelli è fuggito in Florida per evitare il carcere), oltre che di paradiso fiscale e patria della famigerata Mossack Fonseca. La difesa è vibrante: «Qui le tasse si pagano e abbiamo firmato accordi con molti Paesi per lo scambio automatico di informazio­ni bancarie (non l’Italia, per ora) — dice al Corriere Gian Castillero, consulente governativ­o e supervisor­e delle Banche di Panama —. La Mossack Fonseca è solo una delle tante società che operano nel Paese e l’80% delle attività citate nei Panama Papers non erano neppure basate qui».

Il make-up riparte proprio dal canale. Che per il governo non ha rivali: «Noi guardiamo già al futuro — assicura il viceminist­ro dell’Economia Ivan Zarak — a una possibile quarta corsia».

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Il passaggio In alto a sinistra, una nave mentre si dirige all’imbocco del canale. Nella foto in alto al centro, un’operatrice controlla le operazioni di traino di un mercantile all’interno del canale nel passaggio tra una chiusa e l’altra. Nella foto...

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