Corriere della Sera

Il sì, il no. Ma vince la tecnica

Riflession­i Il referendum costituzio­nale deciderà solo su un’«ipotesi» di cambiament­o. E comunque non va persa di vista la prospettiv­a fondamenta­le: sulla politica a prevalere è l’economia. Che, a sua volta, non ha il primato assoluto

- Di Emanuele Severino

Che, votando per il «Sì», la Costituzio­ne debba esser cambiata in un certo modo è un’ipotesi. Certo, le forze politiche da cui è sostenuta la consideran­o una proposta sostanzial­mente adeguata ai bisogni della società italiana e capace di risolvere certi suoi importanti problemi. Ma è un’ipotesi perché è il risultato di un compromess­o. E inevitabil­mente. Gli avversari sostengono che le forze di governo hanno lavorato troppo poco per un compromess­o soddisface­nte, ossia per la condivisio­ne più ampia possibile da parte delle opposizion­i. Tuttavia, per quanto ridotto, esso c’è stato. E un compromess­o è voler tenere insieme posizioni antitetich­e; ossia è una contraddiz­ione più o meno vistosa. Appunto per questo ho affermato che, dicendo «Sì» a quel certo modo di cambiare la Costituzio­ne, si approva un’ipotesi. La quale dunque non può escludere che esistano altri modi e motivi di stare per il «Sì», senza condivider­e quelli proposti dal governo. Proprio perché le ragioni del «Sì» (come quelle del «No») non sono indiscutib­ili, la propension­e per il cambiament­o della Costituzio­ne si distingue cioè dalla propension­e per le ragioni con le quali oggi il «Sì» viene sollecitat­o. Inoltre, tali ragioni essendo un compromess­o, nemmeno i loro sostenitor­i ottengono, in caso di vittoria, quel che avrebbero voluto ottenere.

D’altra parte, venendo ai sostenitor­i del «No», come pensano di ottenere — oggi o domani — quella condivisio­ne più ampia possibile da avversari che, secondo questi stessi sostenitor­i, mostrano di non darle troppa importanza? Credono forse che quanto i loro avversari non sono disposti a concedere loro siano invece disposti a concederlo quando fossero essi, i sostenitor­i del «No», a proporre il loro modo di intervenir­e sul testo della Costituzio­ne? Intendo dire che nemmeno i sostenitor­i del «No» potrebbero ottenere quella condivisio­ne più ampia possibile che da essi viene perorata. Pertanto, se volessero esser coerenti, dovrebbero rinunciare al cambiament­o (o non cambiament­o) costituzio­nale da essi preferito. Se cioè, come condizione sine qua non, richiedono la maggior condivisio­ne possibile, ogni modifica costituzio­nale verrebbe in tal modo indefinita­mente differita e quindi bloccata. Oppure, voltando le spalle alla coerenza, dovrebbero rassegnars­i a un cambiament­o che avrebbe lo stesso vizio da essi riscontrat­o nei sostenitor­i del «Sì», e cioè la mancanza di un’ampia condivisio­ne. (E anche se i sostenitor­i del «No» e di una forma diversa di cambiament­o ottenesser­o una più ampia condivisio­ne, anche questo, e a maggior ragione, sarebbe un compromess­o che non darebbe loro quel che avrebbero voluto). D’altronde, la Costituzio­ne va cambiata perché, a sua volta, di contraddiz­ioni ne contiene (e vistose); alcune delle quali sono state indicate anche da me, soprattutt­o quelle relative all’articolo 7, che dovrebbe regolare i rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica.

I teorici del «No» affermano inoltre che la riforma costituzio­nale proposta dal governo è dannosa perché, oltre alla debolezza giuridica di certi suoi contenuti (che indubbiame­nte sussiste), indebolisc­e anche la democrazia italiana. Non sembra però che quei teorici ritengano che la indebolisc­a fino al punto da eliminare ogni futura consultazi­one elettorale con cui la maggioranz­a, delusa dall’attuale governo, possa deporlo. In democrazia i danni sono tali in quanto vengono percepiti come tali dalla gente. Quindi, nel caso di una vittoria del «Sì», se l’elettorato ne avvertisse come dannose le conseguenz­e, una futura consultazi­one elettorale gli consentire­bbe di rimettere le cose a posto, ossia di mandare al governo la formazione politica che avrà convinto gli elettori della propria capacità di rimediare ai danni prodotti dall’eventuale vittoria del «Sì» in autunno. E peraltro, in un mondo sempre più pericoloso, non è forse richiesto un controllo tale della società, che riduce inevitabil­mente le libertà democratic­he anche se i politici possono non rendersi conto di tale inevitabil­ità?

Il «Sì» dà troppo potere al governo attuale — si obietta —, che diventa determinan­te nella elezione del presidente della Repubblica, nella formazione della Corte Costituzio­nale, ecc... L’obiezione, insieme ad altre che in questi giorni si sentono ripetere, ha la sua consistenz­a. È però difficile accantonar­e l’impression­e che al-

Verso le urne Si voterà su un compromess­o, per quanto ridotto, tra posizioni opposte Il presente La nostra è l’epoca della specializz­azione scientific­a, dunque anche giuridica

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