Il sì, il no. Ma vince la tecnica
Riflessioni Il referendum costituzionale deciderà solo su un’«ipotesi» di cambiamento. E comunque non va persa di vista la prospettiva fondamentale: sulla politica a prevalere è l’economia. Che, a sua volta, non ha il primato assoluto
Che, votando per il «Sì», la Costituzione debba esser cambiata in un certo modo è un’ipotesi. Certo, le forze politiche da cui è sostenuta la considerano una proposta sostanzialmente adeguata ai bisogni della società italiana e capace di risolvere certi suoi importanti problemi. Ma è un’ipotesi perché è il risultato di un compromesso. E inevitabilmente. Gli avversari sostengono che le forze di governo hanno lavorato troppo poco per un compromesso soddisfacente, ossia per la condivisione più ampia possibile da parte delle opposizioni. Tuttavia, per quanto ridotto, esso c’è stato. E un compromesso è voler tenere insieme posizioni antitetiche; ossia è una contraddizione più o meno vistosa. Appunto per questo ho affermato che, dicendo «Sì» a quel certo modo di cambiare la Costituzione, si approva un’ipotesi. La quale dunque non può escludere che esistano altri modi e motivi di stare per il «Sì», senza condividere quelli proposti dal governo. Proprio perché le ragioni del «Sì» (come quelle del «No») non sono indiscutibili, la propensione per il cambiamento della Costituzione si distingue cioè dalla propensione per le ragioni con le quali oggi il «Sì» viene sollecitato. Inoltre, tali ragioni essendo un compromesso, nemmeno i loro sostenitori ottengono, in caso di vittoria, quel che avrebbero voluto ottenere.
D’altra parte, venendo ai sostenitori del «No», come pensano di ottenere — oggi o domani — quella condivisione più ampia possibile da avversari che, secondo questi stessi sostenitori, mostrano di non darle troppa importanza? Credono forse che quanto i loro avversari non sono disposti a concedere loro siano invece disposti a concederlo quando fossero essi, i sostenitori del «No», a proporre il loro modo di intervenire sul testo della Costituzione? Intendo dire che nemmeno i sostenitori del «No» potrebbero ottenere quella condivisione più ampia possibile che da essi viene perorata. Pertanto, se volessero esser coerenti, dovrebbero rinunciare al cambiamento (o non cambiamento) costituzionale da essi preferito. Se cioè, come condizione sine qua non, richiedono la maggior condivisione possibile, ogni modifica costituzionale verrebbe in tal modo indefinitamente differita e quindi bloccata. Oppure, voltando le spalle alla coerenza, dovrebbero rassegnarsi a un cambiamento che avrebbe lo stesso vizio da essi riscontrato nei sostenitori del «Sì», e cioè la mancanza di un’ampia condivisione. (E anche se i sostenitori del «No» e di una forma diversa di cambiamento ottenessero una più ampia condivisione, anche questo, e a maggior ragione, sarebbe un compromesso che non darebbe loro quel che avrebbero voluto). D’altronde, la Costituzione va cambiata perché, a sua volta, di contraddizioni ne contiene (e vistose); alcune delle quali sono state indicate anche da me, soprattutto quelle relative all’articolo 7, che dovrebbe regolare i rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica.
I teorici del «No» affermano inoltre che la riforma costituzionale proposta dal governo è dannosa perché, oltre alla debolezza giuridica di certi suoi contenuti (che indubbiamente sussiste), indebolisce anche la democrazia italiana. Non sembra però che quei teorici ritengano che la indebolisca fino al punto da eliminare ogni futura consultazione elettorale con cui la maggioranza, delusa dall’attuale governo, possa deporlo. In democrazia i danni sono tali in quanto vengono percepiti come tali dalla gente. Quindi, nel caso di una vittoria del «Sì», se l’elettorato ne avvertisse come dannose le conseguenze, una futura consultazione elettorale gli consentirebbe di rimettere le cose a posto, ossia di mandare al governo la formazione politica che avrà convinto gli elettori della propria capacità di rimediare ai danni prodotti dall’eventuale vittoria del «Sì» in autunno. E peraltro, in un mondo sempre più pericoloso, non è forse richiesto un controllo tale della società, che riduce inevitabilmente le libertà democratiche anche se i politici possono non rendersi conto di tale inevitabilità?
Il «Sì» dà troppo potere al governo attuale — si obietta —, che diventa determinante nella elezione del presidente della Repubblica, nella formazione della Corte Costituzionale, ecc... L’obiezione, insieme ad altre che in questi giorni si sentono ripetere, ha la sua consistenza. È però difficile accantonare l’impressione che al-
Verso le urne Si voterà su un compromesso, per quanto ridotto, tra posizioni opposte Il presente La nostra è l’epoca della specializzazione scientifica, dunque anche giuridica