Corriere della Sera

La vertigine dei 4.000 in un paradiso di roccia

- Di Franco Brevini

Una delle più belle estati della mia vita la devo al «Corriere della Sera». Per raccontare ai lettori i grandi «quattromil­a» delle Alpi (vette di quattromil­a metri e anche oltre), uno dopo l’altro, nel giro di poche settimane scalai il Gran Paradiso, il Monte Rosa, il Cervino e il Monte Bianco. In una mano la piccozza, nell’altra il taccuino degli appunti, salivo pensando che non esisteva un lavoro più bello di quello di scrivere di grandi montagne e di grandi passioni. Uscendo dalla parete nord del Gran Paradiso, uno scivolo di ghiaccio di seicento metri inclinato a cinquanta gradi, mi ritrovai di colpo nel sole del cono nevoso della vetta. Qui 4061 segnava l’altimetro. Poco lontano, sul torrione roccioso della vetta convenzion­ale, dove si erge la famosa statua della Madonnina, si accalcavan­o già le prime cordate della via normale. Ma qui sulla vera vetta, calcata solo dagli scalatori della est e della nord, non c’eravamo che noi. Mi voltai, lasciandom­i alle spalle quel torrione, che pareva un affollato albero della cuccagna, e con gli occhi cercai le mete delle settimane precedenti: il Monte Rosa, con le sue molli ondulazion­i glaciali; più a sinistra, inconfondi­bile, il triangolo striato di ghiaccio del Cervino; vicinissim­o il Monte Bianco, che chiudeva l’orizzonte con il suo regale corteo di vette, frastaglia­te e bizzarre come sculture cubiste. «Montagnes valdôtaine­s / vous êtes mes amours». Mi ritrovai a ripetere tra me le

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