Stupore quotidiano di un viaggio nell’America più vera
Una signora della middle class, Lillian, si sveglia «prima del solito, punzecchiata da un pensiero insistente: non ha ancora trovato le scarpe» per il matrimonio della figlia; seguiterà a cercarle, andrà al centro commerciale, penserà alla cena con i gamberi stufati, mentre il marito sarà preso da altre commissioni e sciocchezze, come in una giornata normale. Ma siamo a New Orleans, è l’agosto del 2005 e una tempesta sta per diventare un uragano. Comincia così uno dei nove racconti della raccolta I jeans di Bruce Springsteen di Silvia Pareschi (Giunti, pagine 192, 15) e potrebbe stare vicino a un corto di Raymond Carver o di John Cheever: è il racconto che si intitola Katrina e ricostruisce la tragedia con una suspense misurata, giocata con l’esattezza del narratore di vaglia.
Ma tutti i racconti della Pareschi, tra l’altro nota traduttrice di Jonathan Franzen, Don DeLillo, Alice Munro e altri, hanno il sapore dell’America vista da dentro. E anche se qualche brano (in Lavanderia a gettoni o in Palazzo del porno, sulle lavanderie automatiche e su un palazzo di set pornografici a San Francisco) sembra orientarsi verso l’esotismo di una guida semiseria alle follie statunitensi, la raccolta offre uno sguardo personale e libero su un’America quotidiana, scabra, spesso abbandonata a se stessa, ma intensa, da parte di un’autrice che la conosce bene (e che trascorre parte del suo tempo a San Francisco, dove ha sposato lo scrittore Jonathon Keats). Ad esempio, La scelta della religione è un bel viaggio nel cuore degli Stati Uniti quaccheri, luterani, episcopali, tra gli shaker o i pacifisti new age, dove si passa dal ricordo della strage del «Tempio del popolo» di Jim Jones, nel 1978 (quando furono uccise più di 900 persone) alla curiosa descrizione di un gruppo di religiose en travesti, mantenendo sempre il tono dello stupore, della curiosità «umana» ed empatica. Empatia, è la parola: il racconto Dimmi come mangi rievoca l’esperienza dell’autrice in una mensa della carità, ed è un modo per mostrare gli Stati Uniti «dall’altra parte del vassoio», un mondo di occhiate, di mani tese, di fame, tra i nuovi poveri e i vagabondi di sempre. Può darsi che un sogno americano non esista più, ma se invece è vivo, è tra gli sconosciuti che diventano amici incontrandosi nel deserto, lavorando come volontari in mensa, o raccogliendo i superstiti in una città distrutta, che Silvia Pareschi lo rintraccia. Silvia Pareschi