Fondo Italiano, Cdp avvia il riassetto
La Cassa va al 25% del capitale e punta al 51%. La guida a Mammola, lascia Cappellini Nuova strategia di sostegno alle filiere industriali e spinta sulla ricerca. Il venture capital
La Cassa Depositi e prestiti si appresta a inserire l’ultimo tassello nell’articolato piano di interventi a sostegno dell’economia del Paese. Dopo il riassetto del Fondo strategico italiano e il battesimo del veicolo di turnaround per le aziende indebitate ma sane, nel focus è entrato il Fondo italiano di investimento (Fii): 1,7 miliardi di dotazione, tra capitali investiti nelle Piccole e medie nazionali e liquidità disponibile. La nuova strategia prenderà avvio giovedì 21 luglio con l’assemblea del Fii chiamata ad approvare il cambio al vertice con la nomina ad amministratore delegato di Carlo Mammola, decano del private equity, docente in Bocconi, promotore della prima Spac quotata a Piazza Affari con Vito Gamberale. Il presidente di Fii, Innocenzo Cipolletta, verrà riconfermato.
La missione sarà di imprimere anche al fondo per le Pmi la svolta già disegnata per il gruppo Cdp dal presidente Claudio Costamagna e dall’amministratore delegato Fabio Gallia. Il Fondo è nato nel 2010 per iniziativa di Cdp, del Tesoro, di Intesa, Unicredit e Mps, Icbp, Abi e Confindustria, con il 12,5% a testa.
Ma adesso la Cassa è destinata ad aumentare la presa. Il Tesoro ha già girato il suo 12,5% alla Cdp, salita al 25% e diventata il primo socio del
L’assemblea L’assemblea del Fondo italiano d’investimento dovrà ratificare la nomina il 21 luglio
fondo che conta una trentina di partecipate con 14 mila dipendenti (+20%) e ha immesso liquidità in 25 fondi, supportando oltre 70 startup. La volontà ora è di salire al 51% rilevando azioni dagli altri soci. Tre i pilastri del piano. Primo, gli investimenti nelle Piccole, ma con l’obiettivo di sostenere anche distretti e filiere in una logica di aggregazione e modernizzazione delle imprese con la digitalizzazione e l’Industria 4.0 per diventare dei campioni. Poi, c’è il «tech transfer», l’individuazione di centri di ricerca, privati e pubblici, e creativi hi tech per aiutarli a diventare aziende e imprenditori. Fii vorrebbe insomma costruire una strada anche per chi si rifugia nella Silicon Valley, nelle vesti di investitore attivo ma «paziente». Poi c’è il sostegno al venture capital. L’idea è di intervenire là dove il mercato da solo non riesce ad autoregolarsi. Facendo sistema con altri compagni di viaggio: banche e investitori.