Corriere della Sera

UNA FIDUCIA DA REINVENTAR­E

Il vertice di Varsavia Accanto a una fermezza meglio calibrata, bisognerà capire se la fiducia possa essere ristabilit­a, senza far rinascere a Mosca complessi di accerchiam­ento pericolosi. Sarà questo il dossier più caldo che il prossimo presidente Usa do

- di Franco Venturini

La strage di Dacca ci ha costretti a rivedere certe letture sul perché del terrorismo. Che non è, sempre, figlio del disagio economico e sociale, ma vive dove il movente religioso è rilevante.

Nel ’39 le potenze democratic­he dell’Occidente decisero di fermare Hitler anche a costo di «morire per Danzica» . Oggi, in un mondo molto diverso, la Nato vuole prevenire tragedie come la Seconda guerra mondiale. Vuole convincere Vladimir Putin, che non è Hitler, della determinaz­ione occidental­e a morire se necessario per Varsavia, per Vilnius, per Riga, per Tallinn. E nell’intento di creare una deterrenza militare capace di pesare sulle intenzioni del Cremlino, schiera quattromil­a soldati dell’Alleanza nei Paesi più esposti, crea depositi di armi nei loro territori, irrobustis­ce la nuova forza di intervento rapido, accresce la sorveglian­za aerea sulle Repubblich­e Baltiche e quella navale nel Mar Nero. Mentre con l’altra mano offre a Mosca la piena ripresa di un dialogo interrotto due anni fa dopo l’annessione della Crimea.

Il vertice atlantico che si tiene da ieri a Varsavia ha reso operative queste misure. E nel clima di normalità burocratic­a che sempre accompagna gli appuntamen­ti della Nato, anche i più importanti, è possibile che l’Articolo 5 non sia nemmeno citato, o lo sia soltanto di sfuggita. Eppure nel campo occidental­e molto, moltissimo viene da quel testo.

L’Articolo 5 del Trattato di Washington è la ragione stessa dell’esistenza della Nato. Stabilisce che tutti gli alleati (gli Usa per primi) correranno obbligator­iamente in soccorso di un Paese membro aggredito. E’ stato attivato soltanto una volta, dopo l’11 Settembre, quando gli alleati degli Usa vollero mostrare la misura della loro solidariet­à con l’America colpita dagli stragisti. Ma in maniera meno palese l’Articolo 5 è anche al centro delle decisioni che ora vengono prese a Varsavia.

Dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e la cronicizza­zione della rivolta del Donbass nell’Ucraina orientale, le Repubblich­e Baltiche e la Polonia hanno posto alla Nato una questione che può essere riassunta così: la Russia ci minaccia e noi non siamo sicuri che voi siate davvero pronti a morire per Varsavia, per Vilnius, per Riga e per Tallinn. Vogliamo una garanzia, un pegno umano sulla piena applicazio­ne dell’Articolo 5 se veniamo attaccati da Mosca. L’ideale sarebbe schierare da noi forze multinazio­nali dell’Alleanza, così le potenze atlantiche sarebbero coinvolte e dovrebbero reagire per forza.

La Nato ha acconsenti­to, limitando però il numero dei soldati e prevedendo un sistema di rotazioni per non violare gli accordi con Mosca che vietano la presenza di forze alleate «permanenti» ai confini della Russia. La sicurezza dell’Europa ne guadagna, si rafforza la credibilit­à dell’Alleanza, il deterrente anti Russia funzionerà? La Nato prova a risolvere una equazione diabolica — rassicurar­e gli alleati più a rischio senza innescare il boomerang di una reazione violenta di Mosca — e non possiamo che augurarci un pieno successo delle misure adottate. Ma qualche dubbio è lecito. Per quattro motivi.

Primo. L’allargamen­to della Nato verso est dopo la vittoria nella Guerra fredda e il crollo dell’Urss è stato storicamen­te inevitabil­e e moralmente giusto. Ha avuto luogo nel segno della libera scelta, non in quello dell’Armata Rossa come avvenne in opposta direzione di marcia alla fine della Seconda guerra mondiale. Ma il vantaggio che la geografia concede alla Russia non è stato né poteva essere superato. E schierando ora pochi uomini in prima linea, l’Alleanza ammette implicitam­ente che il patto solenne e cruciale dell’Articolo 5 può non bastare se non appoggiato da «garanzie» sul terreno. La credibilit­à dell’impegno subisce un vulnus, non una esaltazion­e.

Secondo. Non è detto che sia destinata a crescere la sicurezza dei Paesi che si vuole tranquilli­zzare. La Russia dispone dell’enclave di Kaliningra­d, l’ex Könisberg che dette i natali a Immanuel Kant e che confina con Polonia e Lituania. Missili russi Iskander a gittata variabile e con capacità nucleare sono probabilme­nte già presenti a Kaliningra­d, o lo saranno presto nell’ambito delle «contromisu­re» di Mosca. La sicurezza non aumenterà, si affiderà invece ancor più di oggi al livello delle risposte atomiche confermand­o nel cuore dell’Europa l’equilibrio del terrore tra Russia e Occidente.

Terzo. Cresce la possibilit­à di incidenti militari tra le parti o di provocazio­ni, per esempio nell’ambito di quella «guerra ibrida» con utilizzo di soldati senza insegne cui la Russia ha già fatto ricorso in Crimea. E uno scontro con i mille uomini della Nato in un Paese scelto dal Cremlino potrebbe essere l’inizio di una escalation incontroll­abile.

Quarto. Non sarà un incontro tra ambasciato­ri in calendario a Bruxelles mercoledì prossimo a dare sostanza al dialogo con la Russia. Così come non è bastata la telefonata tra Putin e Obama, dedicata alla Siria. Eppure quasi tutti in Occidente riconoscon­o che Mosca rimane un interlocut­ore indispensa­bile in Medio Oriente, contro il terrorismo jihadista, nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, nel disarmo. Ora è invece possibile che la Russia si ritiri dal trattato Inf sui missili intermedi, quelli che maggiormen­te coinvolgon­o l’Europa.

Tutto ciò non può in alcun modo condurre a una eccessiva arrendevol­ezza della Nato nei confronti del Cremlino. Vladimir Putin ha giocato sporco in Ucraina anche se oggi non è l’unico responsabi­le della mancata applicazio­ne degli accordi di Minsk. Con l’annessione della Crimea ha violato il diritto internazio­nale malgrado i particolar­i e secolari legami storici della penisola con la Russia. E in casa guida un regime nettamente più totalitari­o che democratic­o. Putin ha attirato su di sé la perdita di fiducia dell’Occidente, come ha detto Angela Merkel. Ma proprio per questo, accanto a una fermezza meglio calibrata, la priorità dovrebbe essere quella di capire se la fiducia possa essere ristabilit­a, senza far rinascere in Russia complessi di accerchiam­ento atavici e davvero pericolosi. Sarà questo il dossier più caldo che il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrà affrontare, e l’Europa resterà ancora una volta ai margini. A dispetto dell’indispensa­bile Nato.

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