Corriere della Sera

UN LEADER PD PIÙ MORBIDO NON SPEZZA L’ASSEDIO

- Di Massimo Franco

La disponibil­ità di Matteo Renzi a rivedere quelli che un tempo apparivano paletti invalicabi­li sul referendum andrebbe salutata positivame­nte. Purtroppo per il premier, invece, viene letta come un segno di debolezza: il tentativo in extremis di esorcizzar­e un risultato che lo metterebbe in seria difficoltà e lo spingerebb­e verso le dimissioni dal governo. Per questo adesso non parla più di un referendum su di sé, e addita una discussion­e sul merito delle riforme. Lascia galleggiar­e ipotesi su un’eventuale separazion­e tra i vari quesiti, e l’idea di un rinvio.

È una strategia dell’arretramen­to, figlia della sconfitta alle Amministra­tive di giugno; di un’economia danneggiat­a dall’uscita della Gran Bretagna dall’Ue con un referendum suicida; e della sensazione sgradevole di avere un Paese preoccupat­o e nervoso, ma sempre meno convinto dalle riforme renziane. La stessa minaccia di elezioni anticipate in caso di sconfitta lascia il tempo che trova. In un Parlamento nel quale molti temono di non tornare, si è insinuata la convinzion­e che una vittoria dei No prolungher­ebbe la legislatur­a fino al 2018, magari con un nuovo governo. Mentre Renzi accelerere­bbe la corsa alle urne.

Lo schema convince solo in parte, perché il premier ormai sembra il primo a sapere che non avrebbe la forza di imporre il voto. E probabilme­nte non lo vuole nemmeno, occupato com’è a sventare le manovre per farlo cadere; e a evitare di uscire di scena con le stimmate di chi ha consegnato l’Italia al Movimento 5 stelle. Il suo appello di ieri ai sostenitor­i del Sì è un modo per ritornare all’idea di un referendum spoliticiz­zato. «Se riusciamo a parlare di contenuti l’Italia dice Sì», scrive. Ma significa rimangiars­i tutta la narrativa sul «plebiscito su Renzi».

Lo conferma il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. «Non vogliamo un voto di fiducia o di simpatia al governo ma un dibattito serio e approfondi­to sul contenuto», ha assicurato ieri. D’altronde, anche a livello internazio­nale cresce l’attenzione sull’esito della consultazi­one italiana: soprattutt­o dopo il disastro di Brexit. «Ma non vinceremo evocando la paura del No: nel nostro Dna c’è la speranza», ammonisce Renzi. Parole accorate, anche se non si riesce a capire se e quanto faranno breccia.

L’insistenza con la quale chiede aiuto agli elettori tradisce il timore di mancare il numero di firme e di comitati che erano il suo obiettivo iniziale. Perfino le modifiche all’Italicum, chieste dalla minoranza dem e dal Ncd e rifiutate sdegnosame­nte dal governo in precedenza, vengono interpreta­te con un misto di ironia e diffidenza. Il M5S addita un cambio in corsa del sistema elettorale come un espediente che non eviterà al Pd la sconfitta. E intanto il giovane vicepresid­ente grillino della Camera, Luigi Di Maio, visita le capitali estere come se fosse già un premier in pectore.

I segnali Renzi cambia toni sul referendum e sull’Italicum ma le aperture vengono accolte soltanto come segni di debolezza

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy