Corriere della Sera

Diamond che ha ripreso la morte del fidanzato: «Dovete ascoltarci anziché farci fuori così»

- Michele Farina

È un altro video, un video da condivider­e con gli amici, non con il mondo. Un video girato pochi giorni prima di riprendere in diretta l’uccisione del fidanzato. Una vita fa: le immagini di un barbecue in un parco pubblico, lei con la canottiera a stelle e strisce, gli amici, la figlia Daeanna, Philando che appare di striscio, chino sul telefonino. Lo trovate scendendo qualche gradino nel profilo Facebook di Lavish Reynolds. L’ultimo aggiorname­nto, l’ultimo filmato, non c’è, non si vede più: la sua vita «dopo» è un buco nero, il rettangolo di quel video Live ora «nascosto perché mostra contenuti per adulti, come contenuti grafici violenti».

Fino a quel buco — quei quattro colpi di pistola sparati dall’agente Jeronimo Yanez — «i contenuti» della sua vita in vetrina sui social non erano molto diversi da quelli di milioni di coetanee, colori pastello e divertenti citazioni. Diamond in arte Lavish, 24 anni, «mamma di una bellissima bambina» avuta (si intuisce) da un precedente amore, la passione della cucina («la cosa che mi rende felice»), un posto di lavoro nelle «faccende domestiche» di un grande albergo della catena Hilton, l’Embassy Suites Hotels di Saint Paul, Minnesota. Il motto in una parola sola, «vivi-ridiama-impara», la traccia di un passato da cui si era allontanat­a «per poi scoprire che i problemi li porti sempre con te», una ragazza «young wild & free» con il cuoricino finale, «abbastanza umile da sapere che Dio ha un piano per me».

Ora tutti sanno chi è, tutti cercano di spiegare come ha fatto quella «mamma single» nata a Chicago, una ventenne afro-americana che postava «consigli d’amore per il 2016: presta attenzione al tuo partner più che al tuo telefonino». Che beffa atroce, per chi ha dovuto/voluto

È stata mia figlia a dirmi di stare calma A dirmi di essere forte Mi ha detto di non piangere, su quella macchina E così ho fatto

usare il telefonino mentre il fidanzato le moriva accanto («Stay with me, stay with me»). L’ha fatto per «impedire che accada ancora», per documentar­e l’uccisione di un ragazzo nero, «il mio migliore amico, la linfa della mia vita», «una persona per bene, che lavorava duro e aveva accolto mia figlia come fosse sua». Psicologi e specialist­i hanno provato a dare un nome alla straordina­ria calma che Diamond ha mostrato in quei dieci minuti: «In certi momenti una persona letteralme­nte non sente più quello che succede intorno ha detto il professor Hopper di Harvard - Ci sono circuiti che si chiudono». La chiamano «the brain on horror»», la mente di fronte all’orrore.

Una mente però molto connessa, capace di passare in un secondo dalla preghiera al contraddit­torio, da Gesù al poliziotto Jeronimo (quel nome, un’altra piccola ferita): «Gliel’avete chiesto voi di prendere i documenti, signore». Più che paralizzat­a, Diamond appariva accesa, vigile. «L’ho fatto per mia figlia», ha ripetuto in seguito. O meglio: «È stata mia figlia ad aiutarmi, a dirmi di stare tranquilla. Mi ha detto di essere forte, di non piangere». Ed è vero: nel video si sente la bambina che prima dice «Ho paura». Poi, quando la mamma sembra sul punto di rompersi, di dare in escandesce­nze («shit»), con un cambio di ruolo tipico dei bambini Daeanna la conforta: «Non preoccupar­ti mamma», le dice mentre la polizia le porta via.

Dal video del barbecue al video che incastra la polizia, dai fotomontag­gi Facebook con il naso di cane al ruolo di grande accusatric­e: «Dovete ascoltarci, non farci fuori». L’ha fatto per sua figlia ma anche per gli altri, per quel che vale la sua canottiera a stelle e strisce: «Hanno dato a questa gente che dovrebbe proteggerc­i il diritto di ucciderci - ha urlato in strada - perché può succedere a tutti, a te, a te, a te». L’ha detto nella prima apparizion­e pubblica davanti al palazzo del governator­e, il mattino dopo, attorniata soltanto da neri. «Sono una mamma anch’io, ti capisco, sei stata forte», le dice una donna in lacrime. «Ho dovuto», risponde Diamond con gli occhi gonfi. Questa è la prima volta che piango». È anche una citazione che Diamond aveva postato su Facebook: «Arrendersi non è un’opzione, se c’è qualcuno che ti chiama mamma». Sembrano frasi fatte, tipo cioccolati­ni, ma dalle strade del Minnesota alle piste del Sud Sudan c’è un «piano» che le fa diventare realtà, dolore, forza tranquilla.

La ragazza che ha chiamato «Sir« il killer del suo amore si è tolta in fretta la maschera da lavoro. Ha pianto, denunciato, accusato, urlato, è apparsa in tv e alla Cnn la prima cosa che hanno chiesto a lei e alla madre di Philando — come ha sottolinea­to il New York Times — è stato un commento sui fatti di Dallas».

Mi hanno arrestato per una notte come se fossi stata io a fare qualcosa di male. Sono stati loro a ucciderlo Senza motivo Philando era un uomo a posto Potrebbe accadere a tutti. Alle persone che dovrebbero proteggerc­i hanno dato il diritto di ucciderci

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