Il dilemma del robot
Il dispositivo militare usato dalle squadre anticrimine contro il killer di Dallas ha salvato delle vite umane ma apre scenari controversi
Il giorno dopo, ecco la polemica. Avrebbero dovuto rischiare altre vite per stanare Micah Johnson nel garage dove si era asserragliato? Lui voleva che gli agenti provassero, era pronto ad accoglierli con il suo fucile Armalite e le tasche piene di munizioni. La soluzione meno rischiosa — e inedita per la polizia — è stata quella di usare un robot. Hanno applicato una piccola carica al braccio mobile, una saponetta di esplosivo che di solito impiegano per far breccia in un edificio. Poi l’operatore, seguendo la scena attraverso la telecamera, ha provocato la deflagrazione che ha ucciso il cecchino responsabile dell’eccidio. Ma questa tattica ha subito innescato reazioni di segno opposto. La prima è quella di chi deve vedersela ogni giorno con criminali bene armati. Gli ufficiali di molti Dipartimenti, a cominciare da New York, hanno detto: siamo interessati a capire meglio il modo d’uso, potremmo adottarlo anche noi in situazioni estreme. Una scelta favorita dalla disponibilità di mezzi.
L’Us Army, che conta oltre diecimila robot, ne ha dismessi a centinaia quando ha ridotto l’impegno in Afghanistan e in Iraq. Pezzi donati oppure venduti a sceriffi e polizie di mezza America, assetate di apparati che fino a poco tempo fa si pensava fossero più utili su un campo di battaglia che in una città. Ma eventi recenti hanno dimostrato come terroristi-stragisti siano sempre più simili a guerriglieri. In Europa come negli Stati Uniti.
Al Bataclan di Parigi, a San Bernardino, a Orlando e infine a Dallas il terrorista è ricorso a tecniche militari, si barrica, se può si porta dietro degli esplosivi. Una ripetizione di quanto visto nelle città sunnite irachene dopo l’invasione del 2003. Allora le truppe statunitensi, proprio per ridurre i pericoli, mandavano veicoli radiocomandati dotati di micro-ordigni a snidare gli insorti. I tedeschi avevano aperto la strada nel secondo conflitto mondiale con il piccolo Goliath, uno sminatore su cingoli talvolta schierato al fronte contro il nemico. Gli israeliani hanno invece affidato la missione ai cani, infilati nelle grotte-rifugio dei militanti palestinesi di Jibril nel sud del Libano. La Border Patrol che veglia sul confine tra Messico e Arizona è alla costante caccia dei narco-tunnel e da tempo fa esplorare le gallerie da modelli ruotati. Vanno lontano, scrutano nel buio, rispediscono ciò che vedono a una centralina. E con il crescere delle minacce di trappole rudimentali è aumentato il ruolo delle unità cinofile, con gli animali dotati di telecamere per ispezionare l’edificio. Molti sono stati sacrificati. E alcuni sono diventati famosi, come Cairo, il lupo belga che ha accompagnato i Navy Seals nel raid per liquidare Osama.
Aspetti meno noti di tattica militare che l’epilogo texano ha riportato in evidenza. Ma ha anche aperto la seconda discussione, quella sull’opportunità di affidarsi a una «macchina». Si paventa Robocop, si scomoda Terminator. Giudizi su quali pesa l’eccessiva militarizzazione delle forze dell’ordine negli Stati Uniti. Alcune hanno ereditato non solo droni, ma anche mezzi corazzati studiati per resistere alle micidiali bombe dell’Isis. Il timore dei critici è semplice: il passaggio