Corriere della Sera

La produttivi­tà di un’economia aumenta se i settori più moderni riescono ad attirare più risorse di lavoro e capitale

- Di Ricardo Franco Levi

Paesi. Purtroppo, il problema non è solo italiano. Larry Summers, ministro del Tesoro negli ultimi anni di Bill Clinton, rettore per cinque anni dell’Università di Harvard, nipote di due premi Nobel per l’economia e lui stesso in predicato per ricevere lo stesso riconoscim­ento, ha coniato il termine di «stagnazion­e secolare» per definire la debolezza di lungo periodo dei Paesi industrial­izzati. Scava scava, quando si parla di una crescita ostinatame­nte debole, quando non sotto lo zero, si finisce sempre per sbattere sulla mancata crescita della produttivi­tà, cioè di quel di più, di quel valore aggiunto reso possibile dal progresso tecnico, dai migliorame­nti nella conoscenza e nell’efficienza dei settori produttivi.

Ma com’è possibile che la produttivi­tà cresca poco o niente del tutto quando siamo nell’era delle grandi, strabilian­ti innovazion­i che ci stanno attorno, che ogni giorno ciascuno di noi può letteralme­nte toccare con mano: Internet, telefoni cellulari, computer e tablet con potenze mai viste prima, television­i via satellite, treni ad alta velocità? Questo è il grande, grandissim­o interrogat­ivo a cui risponde Robert Gordon, professore di scienze sociali alla Northweste­rn University di Evanston nell’Illinois, in The Rise and Fall of American Growth, salutato come il libro che promette di influenzar­e il dibattito economico — e, di riflesso, la politica — con la medesima forza del libro, Il capitale nel XXI secolo, che un paio d’anni fa il francese Thomas Piketty dedicò al tema della disuguagli­anza.

In più di 750 pagine (ma quello di Piketty ne contava addirittur­a 950!), tanto ricche di dati, di informazio­ni, di osservazio­ni minute, persino di aneddoti e racconti (da Lincoln a Via col Vento, dal Boeing 707 ai supermerca­ti Walmart) da offrire, nonostante la mole, una lettura appassiona­nte, Gordon mostra come le innovazion­i di oggi non valgano quelle degli anni tra il 1920 e il 1970 — gli antibiotic­i, il crollo della mortalità infantile, l’allungamen­to della vita media, l’acqua corrente, il riscaldame­nto e l’aria condiziona­ta nelle case, le automobili, il trasporto pubblico, i frigorifer­i e la conservazi­one dei cibi, eccetera, eccetera — che, valsero a modificare in profondità la vita delle persone, accompagna­rono la trasformaz­ione da una società prevalente­mente rurale ad una urbana e permisero un salto nella produttivi­tà negli anni successivi e più vicini a noi che difficilme­nte potrà tornare. Gordon, che, cifre della produttivi­tà alla mano, tende a relegare nell’ambito dell’intratteni­mento il portato delle «rivoluzion­i» dell’era di Internet («volevamo le automobili volanti, abbiamo ricevuto 140 caratteri») non prevede, come tanti altri, grandi sconvolgim­enti dall’arrivo e dalle future applicazio­ni dell’intelligen­za artificial­e, delle produzioni in tre dimensioni o dei robot: né nel bene, con nuovi, miracolosi progressi nella produttivi­tà, né nel male, con la tanta temuta perdita di posti di lavoro.

Sono le statistich­e che non riescono a cogliere in pieno e a misurare l’impatto delle nuove tecnologie e il valore, anche di termini di maggior qualità, delle produzioni che queste permettono? O c’è qualcosa di più? Una possibile risposta viene dal guardare alla produttivi­tà non sulla scala delle singole imprese o dei singoli settori bensì in una scala più larga. La produttivi­tà globale di un’economia aumenta se i settori più innovativi riescono non solo a produrre in modo più efficiente ma a crescere, attirando verso di loro più risorse di lavoro e di capitale da altri settori meno produttivi. La crescita, dunque, tornerà se e quando aumenterà il numero di coloro che potranno spendere, consumare e acquistare le produzioni dei settori più innovativi. Con il che si ritorna al problema della disuguagli­anza e, a questo strettamen­te correlato, dell’istruzione. Gordon e Piketty non sono così distanti tra loro.

Differenze In “The Rise and Fall of American Growth”, Robert Gordon mostra come le grandi novità di oggi non valgano quelle degli anni tra il 1920 e il 1970

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