SALVATI DALL’ORCO
AMICO E FUMETTO DI SE STESSO COSÌ BUD SPENCER HA DIVORATO TUTTE LE NOSTRE MALINCONIE
Non si è trattato di una combinazione. Quando, non molti giorni fa, Carlo Pedersoli è passato nell’invisibile lasciando a sopravvivergli la sua maschera eroicomica Bud Spencer, mi sono immediatamente messo in cerca di quel libro. Un romanzo che avevo amato per la sua forza simbolica e la capacità di rileggere la Storia alla luce di categorie mitiche. Un romanzo che, ormai, disperavo di ritrovare, dandolo per smarrito in qualche trasloco.
Viceversa, non molti giorni fa, proprio quel volume mi è tornato docilmente — e pentito, direi — sottomano: «Il re degli ontani», di Michel Tournier. Un’opera ricca di richiami alla psicologia del profondo, summa delle sofisticate elaborazioni culturali del suo autore. Dunque una storia, in apparenza, agli antipodi rispetto alle trame lineari ed al candore anti intellettualistico che improntarono da sempre la trionfale cavalcata cinematografica dei personaggi incarnati, di volta in volta, dalle sembianze di Bud/Carlo.
Il punto è che «Il re degli ontani» ha la capacità di riattualizzare e far giganteggiare, dopo secoli in cui quell’archetipo era stato relegato in fiabe e leggende, l’orco. É il tema dell’orco che primeggia su ogni altro personaggio e motivo del testo. Ed eccolo dunque l’anello che congiunge il protagonista del romanzo e lo smisurato, fisicamente eccessivo Bud: il ripresentarsi ai nostri occhi di un gigante orco proposto però, si badi bene, non nell’accezione truculenta del termine, bensì benevola. Orco che vuol dire: stazza da divoratore carnoso e irsuto, carnivoro e — a prima vista — truce. Orco che vuol significare: una creatura ossessionata da una smodata, pantagruelica esigenza di immagazzinare cibo. Nonostante l’aspetto temibile e le dimensioni che incutono soggezione, sia il protagonista orchesco del romanzo che il Bud dello schermo (al quale l’Ischia Film Fest dedica da quest’anno un premio) hanno il potere di attrarre, in modo irresistibile e per contrasto, il mondo infantile. Probabilmente a causa delle prodezze legate alla forza straripante che ambedue esibiscono. La forza messa al servizio di coloro che sono deboli fra tutti: i più piccoli.
E, infatti, sia il protagonista di Tournier che Bud (quest’ultimo in una chiave giocosa e immune dalle ambiguità che chiaroscuravano l’altro) si pongono appunto al servizio dei bambini. Il protagonista del romanzo lo fa, con un’accentuazione oltremodo struggente nel finale del libro, prendendo sulle spalle un piccolo ebreo e portandolo a salvazione. Così la versione benigna dell’orco si trasfigura, e in certo modo si svela, come una riproposizione di Cristoforo. Costui, com’è noto, nella leggenda figura come un colossale e burbero traghettatore chiamato a far attraversare il suo fiume da un misterioso infante in cui si cela Gesù bambino. Il colosso dall’immane forza si troverà, fra i mulinelli del fiume, a sostenere un gravame insopportabile: quella creatura apparentemente così esile sembra pesare sempre di più ad ogni passo. Finché, al meravigliato traghettatore, il bimbo non rivelerà di essere il Cristo. Il peso che Cristoforo ha assunto su di sé non è quello, di per sé irrilevante, di un corpicino infantile. Il peso era, piuttosto, quello del mondo intero.
In questo senso anche Bud, anche Carlo hanno saputo esercitare negli anni un’analoga, meravigliosa funzione salvatrice. Come ogni comico che si rispetti, verrebbe da dire. Bud e Carlo non lo hanno fatto nei confronti di un bambino soprannaturale, ma nei riguardi di una platea di spettatori capaci, anche in età adulta, di conservare un contatto con il nucleo psichico del fanciullo perenne che alberga in ciascuno di noi (ad ogni età, vorrei dire). Così, in tante occasioni e per tanti aspetti, l’orco benevolo Bud (Bud, Buddy: amico, compagnone, fumetto di se stesso) ha saputo rappresentare colui che rese possibile, per tanti suoi spettatori, il guado più difficile. Vale a dire il passaggio dal gorgo della malinconia, dentro cui è sin troppo facile affogare, alla salvezza della risata. La risata che ci riconduce sulla terra ferma della vita e della vitalità. La risata che, quantomeno, ci mette momentaneamente in salvo, in attesa di altre acque perigliose da guadare.
Quanti naufraghi avete salvato, Carlo e Bud? Di quante innumerevoli e insaziabili tristezze vi siete fatti carico con l’esuberanza, tutta corporale, della vostra forza di orchi benigni? Mangiate, divorate le nostre tristezze ancora per molti e molti anni. E così sia.
L’aspetto in apparenza temibile aveva il potere di attrarre i bambini
Ci ha aiutati a superare il difficile guado della tristezza per approdare nel rifugio sicuro della risata