IL VERO BENESSERE È TUTT’ALTRO
Un giornale che nelle sue pagine dedicate alla salute stigmatizza il salutismo? Una contraddizione in termini, un ossimoro. Ma come—si dirà— proprio una pubblicazione che ha la propria ragione d’essere nel portare l’attenzione verso la cura di sé ora si mette sull’Aventino e addita chi di questo scopo ha fatto il centro dei propri interessi e della propria vita? Il problema, e l’equivoco, è proprio questo. L’interesse per la salute è giusto e benedetto ed è ufficio di pagine come queste promuoverlo. Ma un conto è una visione equilibrata della salute e del benessere, un sacrosanto rispetto di sé, un richiamo a non trascurarsi e a non perdere occasioni per “volersi bene”, un altro conto è l’adesione a comportamenti ispirati da obiettivi non commisurati al buon senso e quindi destinati non a creare ben-essere, bensì mal-essere.
L’ultima parola nel salutismo estremo non è la piena espressione delle proprie potenzialità ma l’ insoddisfazione e talora la vera e propria patologia (ortoressia, vigoressia, ipocondria, come viene spiegato nelle pagine che seguono). Quindi non è ipocrita che proprio da questa tribuna ne si sottolinei la natura perversa. È, anzi, un doveroso richiamo di cui bisogna avere il coraggio di farsi carico.
Il salutismo eccessivo non è il frutto di una politica educativa equilibrata e onesta in campo sanitario ma spesso (anche) di interessate strategie di marketing che hanno buon gioco nel “pescare a strascico” nell’oceano del sentimento di inadeguatezza creato dall’esaltazione mediatica del bello& perfetto& giovane sempre e a tutti i costi.
Un obiettivo, questo, il cui raggiungimento viene vissuto come condizione per sentirsi accettati, ma che è totalmente privo di senso perché non può che avere come punto d’arrivo, proprio ciò che si vorrebbe evitare cioè lo stigma sociale, una volta una volta usciti (non foss’altro per questione di età) dal parco-consumatori nel mercato dell’illusione.
Il salutismo portato alle sue estreme conseguenze rischia così di assumere la forma di una vera e propria alienazione, cioè un diventare altro da sé, ennesimo tentativo di dimenticare la propria natura umana.
Non si diventa immortali né si può rimanere giovani e seduttivi, e quindi amati, attraverso il calvario delle diete autolesioniste e dei chili in più sollevati sulla panca di una palestra.
Il vero rispetto di sé, e quindi anche del proprio corpo, è un’altra cosa.