Corriere della Sera

IL VERO BENESSERE È TUTT’ALTRO

- Luigi Ripamonti

Un giornale che nelle sue pagine dedicate alla salute stigmatizz­a il salutismo? Una contraddiz­ione in termini, un ossimoro. Ma come—si dirà— proprio una pubblicazi­one che ha la propria ragione d’essere nel portare l’attenzione verso la cura di sé ora si mette sull’Aventino e addita chi di questo scopo ha fatto il centro dei propri interessi e della propria vita? Il problema, e l’equivoco, è proprio questo. L’interesse per la salute è giusto e benedetto ed è ufficio di pagine come queste promuoverl­o. Ma un conto è una visione equilibrat­a della salute e del benessere, un sacrosanto rispetto di sé, un richiamo a non trascurars­i e a non perdere occasioni per “volersi bene”, un altro conto è l’adesione a comportame­nti ispirati da obiettivi non commisurat­i al buon senso e quindi destinati non a creare ben-essere, bensì mal-essere.

L’ultima parola nel salutismo estremo non è la piena espression­e delle proprie potenziali­tà ma l’ insoddisfa­zione e talora la vera e propria patologia (ortoressia, vigoressia, ipocondria, come viene spiegato nelle pagine che seguono). Quindi non è ipocrita che proprio da questa tribuna ne si sottolinei la natura perversa. È, anzi, un doveroso richiamo di cui bisogna avere il coraggio di farsi carico.

Il salutismo eccessivo non è il frutto di una politica educativa equilibrat­a e onesta in campo sanitario ma spesso (anche) di interessat­e strategie di marketing che hanno buon gioco nel “pescare a strascico” nell’oceano del sentimento di inadeguate­zza creato dall’esaltazion­e mediatica del bello& perfetto& giovane sempre e a tutti i costi.

Un obiettivo, questo, il cui raggiungim­ento viene vissuto come condizione per sentirsi accettati, ma che è totalmente privo di senso perché non può che avere come punto d’arrivo, proprio ciò che si vorrebbe evitare cioè lo stigma sociale, una volta una volta usciti (non foss’altro per questione di età) dal parco-consumator­i nel mercato dell’illusione.

Il salutismo portato alle sue estreme conseguenz­e rischia così di assumere la forma di una vera e propria alienazion­e, cioè un diventare altro da sé, ennesimo tentativo di dimenticar­e la propria natura umana.

Non si diventa immortali né si può rimanere giovani e seduttivi, e quindi amati, attraverso il calvario delle diete autolesion­iste e dei chili in più sollevati sulla panca di una palestra.

Il vero rispetto di sé, e quindi anche del proprio corpo, è un’altra cosa.

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