Corriere della Sera

La colpa non sarà dei medici diventati troppo severi?

- E. M.

al salutismo all’eccesso di diagnosi il passo è breve. Ne è convinto Gilbert Welch, internista del Darthmouth Institute statuniten­se e autore di “Sovradiagn­osi: come gli sforzi per migliorare la salute possono renderci malati” (Il Pensiero Scientific­o Ed.): volersi mantenere in salute a tutti i costi e spiare ogni minimo segno di malattia crea preoccupaz­ione e questa, a sua volta, è terreno fertile per una progressiv­a estensione del concetto di patologia. Negli ultimi anni le soglie di normalità di innumerevo­li parametri e fattori di rischio sono state spostate sempre più verso il basso, accrescend­o il numero di potenziali malati: i limiti normali per colesterol­o glicemia e pressione sono scesi. «I valori di massa ossea normali sono cambiati e così dalla sera alla mattina sette milioni di americani si sono ritrovati affetti da osteoporos­i», osserva Welch.

L’eccesso di diagnosi aggiunge ansie, provoca costi inutili per trattament­i non necessari, spinge ancora più persone a fare scelte di salutismo “patologico”. Stiamo davvero esagerando? «Il rischio c’è — ammette Franco Perticone, presidente della Società Italiana di Medicina Interna —. Per evitarlo, i medici dovrebbero sempre osservare ciascun paziente civolare nel patologico non è difficile quando tutti i pensieri ruotano attorno a ciò che può fare bene o male: fobia di ciò che riteniamo dannoso, ossessione per fare sempre ciò che è giusto sono i due campanelli d’allarme per capire che si sta esagerando.

«In campo alimentare il salutismo fanatico diventa ortoressia: selezione, ricerca e preparazio­ne del cibo secondo precisi canoni ritenuti salutari diventano il fulcro di tutte le giornate — spiega Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatri­a —. Gli ortoressic­i hanno tratti ossessivi e sono costretti dalla loro malattia a perdere enormi quantità di tempo in tutto ciò che ruota attorno agli alimenti: anche la preparazio­ne dei piatti deve sottostare a precisi rituali, si possono passare ore a vagliare le caratteris­tiche dei prodotti per accertarsi che siano sani. Tutto questo non è privo di conseguenz­e, fisiche e psicologic­he: dal punto di vista organico l’ortoressia può portare a squilibri elettrolit­ici, carenze vitaminich­e, problemi muscolari; psicologic­amente si associa a rigidità mentale, insoddisfa­zione e ansia se non si riesce a mangiare come si vorrebbe. I pazienti in genere si sentono superiori agli altri per le loro scelte “illuminate”: pensano per esempio, a torto, che le loro abitudini alimentari siano d’aiuto al pianeta e tendono a svalutare chi secondo loro non mangia sufficient­emente sano, visto che ritengono che l’alimentazi­one debba essere il centro della vita di ognuno. In realtà le loro convinzion­i sono spesso dettate dall’ignoranza e si basano sul falso concetto che lo stato di salute dipenda solo da ciò che mangiamo». Quando il pensiero del cibo sano soffoca tutto e non accettiamo neppure un invito al ristorante per evitare di incappare in alimenti “non controllat­i”, è giunto il momento di chiedere aiuto. nel suo complesso. Una persona senza altri fattori di rischio cardiovasc­olare e coi vasi elastici e liberi da ateroscler­osi può avere il colesterol­o un po’ più elevato della soglia senza che sia necessario considerar­la “malata” né tantomeno intervenir­e con i farmaci; diverso sarà il caso di un paziente che abbia già avuto un infarto. Ogni parametro poi fa storia a sé: la pressione alta per esempio è un problema che riguarda 18 milioni di italiani e pesa molto più del colesterol­o su ricoveri e mortalità cardiovasc­olari, in questo caso aver ridotto la soglia è giusto».

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