Lo scrittore e tre grillini a Tel Aviv
Etgar Keret con Di Maio e gli altri: buone intenzioni, ma proposte impraticabili
Idue giovanotti eleganti e la donna sorridente si sono presentati: Luigi, Manlio e Ornella, del Movimento 5 Stelle. Arrivano a Tel Aviv con curiosità e molto entusiasmo. Peccato che fosse solo un incontro di un’ora: se avessimo potuto prolungarlo, magari per dieci anni, saremmo riusciti a fondare uno Stato in cui si parla l’ebraico intorno al tavolino del caffè, e un secondo, palestinese, al tavolino accanto.
Durante la visita in Israele la delegazione del Movimento 5 Stelle — composta da Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano e Ornella Bertorotta — ha incontrato a Tel Aviv lo scrittore Etgar Keret. Questo è il suo racconto
La temperatura nel caffè in riva al mare aveva raggiunto i trentadue gradi. Temperatura normalissima per gli umidi mesi estivi a Tel Aviv, ma tutt’altro che normale per il corpo umano. Notoriamente, uno degli effetti del cocente sole di luglio in Israele sono le visioni, perciò quando ho distinto tra il nugolo di bagnanti in costume due uomini di bell’aspetto con indosso completi signorili, ero convinto si trattasse di un’allucinazione se non di una rivelazione divina. I due giovanotti eleganti e la donna sorridente che li accompagnava si sono presentati: Luigi, Manlio e Ornella, del Movimento Cinque Stelle. Arrivavano all’appuntamento con curiosità vera e molto entusiasmo. Dopo il nostro incontro al caffè, il loro programma prevedeva una visita a Yad Vashem, ma prima speravano di capire le radici del conflitto fra israeliani e palestinesi e, nel caso restasse qualche minuto libero prima di salutare, di risolverlo.
Mi è mancato il coraggio di dirgli che avevo già incontrato altri europei convinti di poter influenzare, nel corso di una breve visita in Israele, l’ostinata e sanguinosa realtà del Medio Oriente. Ma proprio perché ho già visto parecchi politici stranieri in visita qui, posso affermare che erano più ottimisti ed energici di chiunque altro. Le loro proposte non erano particolarmente innovative, anzi, non mi sembravano nemmeno un granché praticabili, ma l’eloquio fluido, privo di esitazioni e la speranza scevra di dubbi sulla capacità delle due parti in conflitto di modificare la loro opinione e attraversare con un salto il gigantesco abisso di sospetto e paura che le divide, mi hanno fatto venire voglia di restare in loro compagnia il più a lungo possibile. Finché rimangono qui con me, ho pensato, possiamo continuare a immaginare insieme un nuovo Medio Oriente: meno insanguinato e fondamentalista e più ragionevole e scintillante. Peccato che in programma ci fosse solo un incontro di un’ora; se avessimo potuto prolungarlo per un anno, due
La «politica pulita» Ma da un gruppo che parla senza balbettare di «politica pulita» ci si sente rinvigorire
o magari dieci, saremmo riusciti a fondare un altro stato in cui si parla l’ebraico intorno al tavolino del caffè, e un secondo, palestinese, al tavolino vicino.
Finito di parlare del conflitto, Manlio mi ha raccontato del loro partito, del successo alle ultime elezioni amministrative in Italia e del loro programma, che include una guerra senza quartiere alla corruzione politica e allo spreco. Un politico italiano che si oppone alla corruzione mi pare cosa rara quanto un combattente dell’Isis pacifista. Giacché l’ultimo politico italiano da me incontrato di persona è Berlusconi, il solo fatto che la parola più frequente nella nostra conversazione fosse «giustizia» mi ha spinto a darmi una serie di pizzicotti per verificare che non stavo sognando.
Solo dopo che i tre inviati hanno lasciato il mio tavolo, diretti alla Santa Gerusalemme, ho ritrovato calma sufficiente da tirare le conclusioni dell’incontro: i tre appena incontrati non sembravano in nessun modo politici veri, piuttosto una pubblicità ai politici, e anche la realtà della quale parlavano suonava come una pubblicità della realtà: egualitaria, giusta e rispettosa della legge. Normalmente guardo con sospetto cose del genere, ma considerato il declino nel quale stiamo vivendo, mi ha fatto piacere credere a una pubblicità, per quanto pretenziosa. Pur dubitando che le loro buone intenzioni riusciranno a liquidare la corruzione nella politica italiana o il conflitto in Medio Oriente, non stento a capire perché tanti italiani li hanno votati: in un mondo in cui il vecchio ordine crolla e i corrotti e disonesti che per tanti anni hanno fatto pipì nella piscina della nostra esistenza si sentono ormai abbastanza tranquilli da pisciare dal trampolino, ci si sente rinvigorire da un gruppo del genere, che riesce a pronunciare parole come «politica pulita» o «guerra alla corruzione» senza balbettare o distogliere lo sguardo. La strada per l’inferno, si dice, è lastricata di buone intenzioni. Ma l’inferno sembra essere già qui, perciò le buone intenzioni non faranno comunque gran danno.
Traduzione di Raffaella Scardi
Avevano la speranza scevra di dubbi sulla capacità delle due parti in conflitto di attraversare l’abisso gigantesco di sospetti e paure che le divide