Corriere della Sera

«Che fallimento sulle armi»

- Di Giovanna Grassi

Il regista Spike Lee: «Nell’obiettivo di creare un’America post razziale abbiamo tutti fallito, noi afroameric­ani, i latinos, i caucasici, ogni razza umana, bianca o nera, non solo Obama. Ora al mio Paese dico: sveglia. E ferma le armi».

Cosa succede in America, dove un’ondata di violenza, di stragi, di neri ammazzati dalla polizia e di poliziotti uccisi sembra riacutizza­re problemi che sono cancrene nel tessuto sociale Usa?

Risponde Spike Lee, Shelton Jackson Lee all’anagrafe della Georgia dove è nato nel 1957, figlio di una insegnante e di un musicista jazz, da sempre interessat­o (fu la sua scelta universita­ria) alle comunicazi­oni di massa, democratic­o in prima linea, da ultimo sostenitor­e di Bernie Sanders.

Il soprannome «Spike» significa anche «ribelle» e il carattere del regista lo ha portato sempre a dire quello che pensava, a contraddir­si, a chiedere all’Academy prima di tutti di stabilire quote per evitare discrimina­zioni agli Oscar e a dichiarare che il razzismo negli Stati Uniti è una piaga profonda, che il suo amato Paese è segnato da ferite inguaribil­i.

Cerca le parole giuste: «Sarebbero necessari giorni per analizzare la questione e tentare di rispondere alla domanda. Io da anni realizzo documentar­i per fermare su pellicola la cronaca del mio Paese. Ho girato un video e l’ho intitolato Wake Up (Sveglia): è quanto chiedo da anni al mio Paese, cercando di parlare alla gente, esponendom­i in prima persona per un ferreo controllo delle armi. Ho girato un film, Chi-Raq, anche per dire che la vicenda di Tyshawn Lee, il bambino di 9 anni torturato e ucciso a Chicago, una delle metropoli più violente d’America, era una delle tante spie di una situazione insostenib­ile. Non mi si chieda se Obama ha cercato di risolvere le cose... Su Twitter, quando ha preso posizione sul controllo delle armi, tra mille ostacoli, ho scritto “Bravo Mr. President”».

Osserva: «Possiamo, noi afroameric­ani, lottare individual­mente e collettiva­mente per l’uguaglianz­a, ma non sarà mai sufficient­e. Il potere non è nelle mani degli afroameric­ani, i neri muoiono. I poliziotti, bianchi o di colore, anche. Accade a Dallas e in molte altre città. Ho detto al Sundance Festival nel gennaio del 2015: “Obama, che io ho sostenuto e sostengo, ha fallito nell’obiettivo di creare un’America postrazzia­le”. Oggi aggiungo: abbiamo tutti fallito, noi afroameric­ani, i latinos, i caucasici, ogni razza umana, bianca o nera, non solo Obama. Ci sono anni di divisioni, emarginazi­oni, soprusi che aggiungono sangue al sangue. Non si può liquidare e risolvere tutto con un miracolo. L’uguaglianz­a e l’integrazio­ne rischiano ogni giorno di restare un miraggio allargando le tensioni. Sono sceso in piazza molte volte, anche dopo la rivolta di Ferguson. L’ho fatto in maniera pacifica, non da provocator­e come spesso mi accusano

di essere: l’ho fatto ricordando il titolo di un mio film, Fa’ la

cosa giusta. Le tensioni, tuttavia, aumentano, i social media le amplifican­o, il pacifismo resta lontano, la violenza prende il sopravvent­o».

Precisa: «I video, i nuovi mezzi di comunicazi­one sono comunque utilissimi. Aiutano a capire, denunciano le ingiustizi­e, i divari e non certo solo tra bianchi e neri o latinos, tra democratic­i e repubblica­ni, tra la polizia e le persone comuni. Tutto questo è più che un problema negli Usa, è una tensione quotidiana, diventa una guerra».

«Non posso dare una risposta, quindi, alla domanda: cosa accade in America? Domandiamo­ci anche quante sono le persone che ogni giorno, nel mondo, muoiono per l’uso indiscrimi­nato di armi. Sarebbe importante chiedersi: “Cosa accade oggi nel mondo?”».

Possiamo, noi afroameric­ani, lottare per l’uguaglianz­a, ma non sarà sufficient­e Il potere non è nelle mani degli afroameric­ani, i neri muoiono I poliziotti anche Barack Obama non è riuscito a costruire un’America postrazzia­le ma ha saputo prendere posizione sul controllo delle armi tra mille ostacoli «Provocator­e» Lee scese in piazza dopo Ferguson: «Mi chiamano provocator­e, ma voglio la pace»

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Impegno Il regista americano Spike Lee, 59 anni, ai Bet Awards di Los Angeles (Reuters/Danny Moloshok)

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