Se nelle Marche compare la scritta sulle «vite nere»
«Black Lives Matter» è il movimento nato negli Stati Uniti nel 2013, subito dopo la morte di Trayvon Martin, il diciassette nero ucciso a Sanford in Florida e l’assoluzione del suo assassino, George Zimmerman, guardia volontaria che ammise di aver sparato ma venne scagionato perché gli fu riconosciuta la legittima difesa. La scritta comparsa a Fermo, nel punto in cui è stato ammazzato Emmanuel Chidi Nnamdi (foto sotto), fa ben comprendere il clima che si respira nella cittadina marchigiana, a poche ore dai funerali del trentaseienne nigeriano. Per fortuna l’Italia è ancora lontana dall’intolleranza che resiste invece negli Stati Uniti. Ma il germe del razzismo è ben presente, così come la distanza di moltissimi cittadini dai migranti, da coloro che sono arrivati qui sperando di crearsi una nuova esistenza e nella maggior parte dei casi si sono scontrati contro un muro di ostilità. Un clima che i responsabili per la sicurezza conoscono bene e per il quale hanno già preso adeguate contromisure, prevedendo un potenziamento della presenza delle forze dell’ordine durante le esequie e anche dopo, fino a che l’indagine in corso non chiarirà tutti i punti ancora oscuri di questo delitto. Un cordone di protezione per ribadire che nel nostro Paese «Le vite nere contano» —– proprio come rivendica il movimento statunitense — e condannare tutti quegli episodi di violenza, anche soltanto verbale, che possono poi trasformarsi in furia mortale. Ma anche per sottolineare che questa regola deve essere rispettata da tutti, migranti compresi, e così evitare che la morte di Emmanuel Chidi Nnamdi sia la scintilla per appiccare l’incendio, come accaduto in passato in altri luoghi d’Italia.