Corriere della Sera

IL RISCHIO DEL GIAPPONE CHE ARCHIVIA IL PACIFISMO

- Di Guido Santevecch­i

Il risultato delle elezioni in Giappone sembra dare al primo ministro nazionalis­ta Shinzo Abe l’opportunit­à che ha sempre sognato: riscrivere la Costituzio­ne pacifista imposta dagli americani nel 1947. Abe non ha mai nascosto di ritenere l’Articolo 9 della Carta un’umiliazion­e, perché ha costretto la terza potenza economica del mondo a un ruolo di osservator­e passivo nelle crisi internazio­nali e spesso di finanziato­re delle iniziative Usa.

La possibile fine del pacifismo giapponese suscita brividi in Asia, dove è ancora viva, soprattutt­o in Cina, la memoria dei dolori e disastri causati dal militarism­o e dal colonialis­mo del Sol Levante nel secolo scorso quando infiammaro­no il Pacifico. Ma anche restare ancorati a un pacifismo a tutti i costi sembra anacronist­ico vista la situazione intorno al Giappone: la Corea del Nord continua a lanciare missili balistici (l’ultimo sabato da un sottomarin­o) e perfeziona l’arsenale nucleare; Pechino rivendica isole nel Mar Cinese meridional­e e anche vicino alle coste del Giappone (le Senkaku/Diaoyu) e in questi giorni ha schierato un centinaio di navi impegnate in manovre a fuoco intorno alle isole Paracel. La settimana scorsa è stato sfiorato uno scontro tra jet cinesi e giapponesi sulle isole contese e basterebbe una collisione in volo per un errore di valutazion­e di un pilota a far sprofondar­e le Borse mondiali; Tokyo assiste impotente anche agli assalti del terrorismo islamico nel mondo, piange i suoi cittadini rapiti e assassinat­i in Medio Oriente e ha appena ricevuto le bare di sette vittime nell’ultimo attentato in Bangladesh. C’è una finta pace anche nel Pacifico.

E domani la Corte di arbitrato Onu per la Legge del Mare deciderà sul ricorso di Manila contro l’occupazion­e cinese di scogli nelle secche di Scarboroug­h, a poche centinaia di chilometri dalle coste filippine: la sentenza sarà secondo tutte le previsioni a favore di Manila e Pechino ha già detto che la riterrà «carta straccia». La Cina rivendica il 90% del Mar Cinese meridional­e, una via lungo la quale passano ogni anno 5 mila miliardi di merci, compresi i vitali rifornimen­ti petrolifer­i per il Giappone.

Più che alle prossime mosse di Abe sulla Costituzio­ne, presumibil­mente caute, è alla decisione di domani dei giudici internazio­nali dell’Aia che bisognerà guardare. Rifiutando­la, Pechino si metterà fuori dalla legge delle Nazioni Unite e darà un’altra spinta alla corsa al riarmo nella regione.

Ma è anche vero che nel mondo globalizza­to il fatto che il primo ministro del Giappone terza economia del pianeta possa distrarre la sua azione di governo dalla crescita, dirottando­la su una riforma costituzio­nale impopolare, è comunque un rischio destabiliz­zante.

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