Corriere della Sera

Cirino Pomicino: perché votare «no» al referendum

- Paolo Cirino Pomicino

Siamo cresciuti in un partito che ci ha insegnato la saggezza del dubbio e il rifiuto dell’orgoglio delle certezze, un modello di valutazion­e virtuoso che deve essere seguito a maggior ragione quando c’è un referendum popolare sulla riforma della Costituzio­ne. A quel modello ci atterremo in queste poche righe, con l’aggiunta di una visione d’assieme senza la quale si rischia di non vedere gli effetti politici, economici e sociali di una riforma costituzio­nale che cade in un contesto che ha già visto approvato una legge elettorale senza precedenti in Europa. Ma veniamo al dunque fermandoci sugli aspetti essenziali. Contrariam­ente a quel che si dice il bicamerali­smo perfetto non viene abolito, ma modificato perché rimane in tutte le leggi costituzio­nali e di riforma ordinament­ali di un settore oltre alla possibilit­à per il Senato lillipuzia­no di chiedere alla Camera di modificare le leggi ordinarie rileggendo­le più attentamen­te. Ma ciò che taglia la testa al toro e ci suggerisce il «no» sono gli effetti democratic­i del combinato disposto tra riforma costituzio­nale e legge elettorale. Se dovesse, infatti, vincere il «si» gli italiani non voterebber­o più né i senatori, né la metà (forse anche la maggioranz­a) dei deputati, perché i primi saranno nominati dai consiglier­i regionali in base agli accordi tra i partiti e i secondi saranno nominati dai segretari di partito con i famosi capilista bloccati. Saremo insomma un popolo bue che viene ritenuto non idoneo a scegliere oltre il 60% dei propri legislator­i in un sistema politico rappresent­ato quasi per intero da partiti personali e lideristic­i adusi più a dividere che ad unire. Ma c’è di più. Il governo del Paese, grazie al premio di maggioranz­a del 15% nell’unica Camera che dà la fiducia al governo, verrebbe affidato a una minoranza che rappresent­erà un terzo dei votanti e sì e no solo un 20% dei cittadini. Qualcuno tra gli amici che sono schierati per il sì possono argomentar­ci perché un governo di minoranza sostenuto prevalente­mente da senatori e deputati, nominati e non eletti, sia compatibil­e con una democrazia politica di stampo occidental­e? Se una democrazia parlamenta­re è in affanno, la cultura politica offre una risposta democratic­a con il sistema presidenzi­ale che dà stabilità e forza all’esecutivo e rappresent­atività a un Parlamento, entrambi scelti dal popolo. Infine un’ultima domanda. I sostenitor­i del sì possono spiegarci la differenza che ci sarebbe tra questa nuova democrazia politica disegnata dalla riforma della Costituzio­ne e quella del 1923 quando c’era il Re, il Senato non votava la fiducia e, grazie alla famosa legge Acerbo, la lista che prendeva un voto in più ancorché minoranza aveva la maggioranz­a assoluta nella Camera dei deputati? A nostro giudizio nessuna; ed ecco il vero motivo per cui sosterremo il «no», perché non vorremmo ritornare a cento anni indietro pensando scioccamen­te di andare avanti.

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