Corriere della Sera

Dumoulin, impresa d’altri tempi sui Pirenei Tour: Froome resta in giallo, Aru perde un minuto. La malinconic­a resa di Contador

- Marco Bonarrigo

Bagnato da un raro scroscio di sole, il bis di Andy Murray a Wimbledon può assumere contorni romanzesch­i. Un paio di palle break concesse in due ore e 48’ di finale anemica, come se l’uscita di scena di Roger Federer avesse congelato il sangue nelle vene del torneo; la miseria di 12 errori gratuiti, 87% di punti vinti sulla prima di servizio. Rischiava di essere bombardato dal corazziere Milos Raonic, invece il padrone di casa s’è inventato la partita perfetta.

L’Inghilterr­a delle tradizioni si compatta sul centrale. Ci sono William e Kate, futuri re e regina. C’è il primo ministro Cameron, terremotat­o dalla Brexit, che si becca qualche fischio e una pacca sulle spalle dal vincitore: «Il suo è un mestiere impossibil­e, meglio fare il tennista». C’è il neosindaco musulmano Sadiq Khan. Ci sono attori, attrici, nobildonne, fragole con panna e grandi ex: Ivan Lendl, amico e coach ritrovato di Andy, capace di condurre l’allievo dove lui stesso non si è mai spinto (due finali perdute sull’erba, con Becker e Cash), e John McEnroe, tutor di Milos per la modica cifra di 100 mila dollari per cinque settimane, caduto sul traguardo.

C’è un’enfasi, insomma, che il tasso di qualità della finale non rispecchia, perché Murray è granitico quanto Federer era stato friabile e Raonic

Vittoria e ironia

Il carro-scopa è arrivato da un’ora, gli operai smontano il palco delle premiazion­i ma in un arrivo di tappa che ormai è un teatro in disarmo l’attore protagonis­ta resta sul palco. La pioggia, la grandine, i venti gradi di escursione termica di una tappa che resterà nella storia del Tour non modificano il dopo corsa del soldatino Chris Froome: un piatto di riso e patate, un beverone violaceo alla barbabieto­la e una porzione di rulli per smaltire l’acido lattico, quando i suoi colleghi sono già in albergo.

Come nel 2015 il capitano di Sky saluta i Pirenei in maglia gialla, distribuen­do sorrisi e pacche sulle spalle ai compagni «bravissimi a sostenermi in una giornata estrema» e compliment­andosi con Tom Dumoulin per la vittoria solitaria, la prima dell’olandese al Tour. Ma se si volta, l’inglese vede un panorama diverso dal Rabbia La reazione di Tom Dumoulin contro un «disturbato­re» L’olandese ha trionfato sotto la grandine (Afp) Batte il canadese in tre set, poi scherza con il premier inglese: «Mestiere difficile»

replica del trofeo di Wimbledon. Andy è il ragazzo fortunato scampato bambino alla strage di Dunblane (1996, 16 studenti e un insegnante uccisi), l’allievo modello che al cambio di campo legge i consigli (o gli sms?) di coach Lendl, il quarto incomodo nella generazion­e di fenomeni (Federer, Djokovic, Nadal) che domina il tennis da un decennio e il re bis dei prati (terzo Slam in totale) nell’edizione senza Rafa (k.o.) e con Djokovic eliminato da Querrey che ancora si domanda come ha fatto. Non a caso quella di ieri è stata, in 11 finali Slam, la prima passato. L’anno scorso, valicato l’ultimo colle pirenaico, aveva tre minuti di vantaggio sul secondo e sette sul decimo. La corsa era già segnata ben prima delle Alpi, gli avversari rassegnati a lottare per posizioni di rincalzo. Ora Chris si trova alle costole dieci atleti nell’arco di sessanta secondi. Sabato per staccare Quintana di pochi in cui lo scozzese dall’altra parte della rete non si è ritrovato né il cioccolati­no svizzero né il Djoker. Sacrosanto approfitta­rne: «Nel 2013, a 77 anni di distanza da Fred Perry, fu puro sollievo. Questo è un successo più gioioso. Credo in ciò che mi dice Lendl e in me stesso. Voglio che mia figlia sia fiera di suo padre».

Ha lavorato su se stesso, Murray. È tornato a vincere dopo aver digerito la paura di fallire (8 finali Slam perse, due quest’anno: «Ho avuto sconfitte dure ma la famiglia ha cambiato le mie prospettiv­e») ed elaborato i lutti sportivi, se- secondi ha dovuto fare follie in discesa. Ieri, dopo aver messo alla frusta quattro dei suoi uomini nella salita finale, ha appena accennato a un paio delle sue «frullate». Nessuno si è spaventato, anzi Froome s’è si è visto sprintare in faccia Adam Yates (secondo in classifica generale a 16”), francoboll­are dallo stesso Quintana, Porte, Martin e Bardet.

La malinconic­a resa di Contador (salito in ammiraglia dopo 80 chilometri, febbricita­nte e con stagione e forse carriera compromess­e) e il riciclaggi­o di Nibali nel ruolo di gregario segnano un cambio generazion­ale nel fronte nemico. Yates ha 24 anni, Bardet e Quintana 26. Sono giovani, sono affamati. Non si spaventano della potenza di Sky, hanno radiografa­to le sue azioni in ogni dettaglio e sono pronti a dare battaglia nei prossimi quindici giorni con due cronometro, il Ventoux e le Alpi a di- sposizione. L’unico ad aver fatto un passo indietro è Fabio Aru, che ieri si è un po’ perso nella tempesta cedendo all’inglese e agli avversari un minuto secco all’arrivo.

Lapidario come sempre, il sardo: «Non è stata una delle mie giornate migliori, ho patito il freddo. Spero di recuperare presto». Spazio per l’ottimismo ce n’è: le difficoltà nella prima settimana di corsa per lui sono un classico. Al suo fianco ieri si è visto Nibali III: dopo aver giocato una tappa da attaccante e una da velocista stanco, Vincenzo è stato davvero gregario perfetto nel momento più difficile.

Oggi il Tour riposa negli albergoni di Andorra, tra sgambate, conferenze stampa e contratti da firmare per la nuova stagione. I procurator­i sono già calati in massa nel Principato.

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