Corriere della Sera

GLI ERRORI SUL CONFINE DEL MARE

- Di Massimo Franco

La miscela composta da bomba demografic­a più terrorismo di matrice islamica sta rimodellan­do la frontiera geopolitic­a europea. E costringe a ristabilir­e gerarchie strategich­e che sembravano archiviate. Dopo l’entusiasmo per l’«allargamen­to a Est» tra il 2004 e il 2008 e le vecchie e nuove pulsioni antirusse della Polonia e dei Paesi baltici, si era assistito a una torsione del Vecchio Continente. Il «cuore» geopolitic­o si era spostato a Nord e nell’area orientale. E il Mar Mediterran­eo era stato declassato a periferia irrilevant­e, facendo perdere qualsiasi centralità al fronte meridional­e europeo.

Di questi equilibri, il vertice della Nato appena chiuso a Varsavia doveva celebrare la consacrazi­one. Invece, di colpo è apparso eccentrico rispetto alle sfide che l’Europa ha davanti. La riunione nella capitale polacca si è presentata come un prolungame­nto postumo della Guerra fredda, mentre il «muro liquido» che corre dalla Turchia alla Spagna, e dal Libano al Marocco, rivendica il proprio primato. Lo Stato Islamico costringe a riconoscer­e gli errori dell’Occidente e le contraddiz­ioni di molti Paesi arabi; e a riportare l’attenzione nel profondo Sud marittimo.

Ci si era illusi per qualche anno di poter trascurare quel «Mare Nostrum» ribattezza­to «Mare Mortuum» pensando ai migranti annegati nella traversata. Da quella sottovalut­azione colpevole è spuntato come un virus letale e globale lo Stato Islamico.

ESEGUE DALLA PRIMA

il Mediterran­eo si conferma il luogo nel quale si specchia il Vecchio Continente: anche quando si rifiuta di farlo, fingendo che quanto accade in quelle acque riguardi l’Italia o la Grecia e la Spagna, e non Germania o Olanda; e che coordinare le politiche mediterran­ee sia una sorta di carità economico -strategica concessa ai sobborghi poveri europei, e non a se stessa.

La storia si sta prendendo un’amara rivincita. Il fronte sud si ripropone come epicentro delle ambizioni marittime della Federazion­e Russa, e di una migrazione di dimensioni epocali e struttural­i; e soprattutt­o del terrorismo. Quando si riuniscono a Roma quarantatr­é Parlamenti dell’Unione per il Mediterran­eo sotto la presidenza degli italiani Pietro Grasso (Senato) e Laura Boldrini (Camera), e si accorgono di avere interessi comuni ma di essere divisi, il ritorno alla realtà è brusco: brusco ma salutare. Costringe a rileggere parole come dialogo e cooperazio­ne in modo meno superficia­le; a chiedersi se le «primavere arabe» del 2011 siano sfiorite solo per la litigiosit­à tribale, o anche per egoismi e miopia occidental­i.

Domande non oziose, se in Tunisia l’esperiment­o della democrazia ha successo, mentre è fallito in Libia e in Egitto. Vista da lì, l’Europa è un vicino egocentric­o, litigioso eppure indispensa­bile. Diviso da una vistosa frattura tra nazioni di Nord e Sud; eppure chiamato, nelle parole del premio Nobel per la pace, il tunisino Abdessatta­r ben Moussa, a «una strategia consensual­e contro il terrorismo». Forse perché il jihadismo, secondo il sociologo Olivier Roy, «è l’unica ideologia globale» antisistem­a. E molti dei ventimila «combattent­i stranieri» dell’Isis percorrono le rotte mediterran­ee.

Si tratta, per il sottosegre­tario ai servizi segreti, Marco Minniti, della più numerosa «legione straniera» mai conosciuta. Per combatterl­a serve un coordiname­nto che non può permetters­i distinzion­i tra Est e Ovest; e soprattutt­o deve sancire «un’alleanza chiara e netta con il mondo arabo. Altrimenti si perde». Sarà una sfida prolungata, che richiede un «pensiero lungo» quanto quello, aberrante e sanguinari­o, che l’Isis cerca di inculcare col suo Califfato. In questo conflitto, il Mediterran­eo avrà il ruolo di confine cruciale. E l’Italia, lo voglia o no, ne sarà l’avamposto.

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