Corriere della Sera

Il flop delle firme in Parlamento Solo 30 per dividere i quesiti

I capigruppo di FI: cambiare l’Italicum ma dopo il no alle riforme

- Giuseppe Alberto Falci

Non decolla la raccolta dei Radicali per spacchetta­re il referendum costituzio­nale. L’iniziativa nata da Riccardo Magi ad oggi è ferma a trenta firme. Trenta deputati in maggioranz­a di Area popolare — fra questi Fabrizio Cicchitto e Paola Binetti — e uno soltanto del Pd, che è Franco Monaco.

Nonostante l’attivismo dei radicali e del vice ministro Riccardo Nencini, altro promotore della raccolta, i parlamenta­ri non vogliono saperne e non intendono firmarlo. Oggi Magi proverà a raccoglier­e le firme a Palazzo Madama ma anche qui i senatori — se si escludono i rappresent­anti di Area popolare, che hanno appunto sposato la raccolta — non rispondono alla chiamata. E per i Radicali il tempo stringe. Il termine ultimo per presentare la richiesta in Cassazione sarà giovedì. Occorrono o 500 mila firme dei cittadini o 126 firme di deputati e 64 di senatori. Poi a quel punto una volta raggiunta la cifra la parola passerà alla Corte costituzio­nale.

Tuttavia Magi non si dà per vinto e proprio ieri ha provato a convincere Maria Elena Boschi. In un incontro riservato Il promotore Magi ha visto Boschi: la ministra si è limitata a elogiare lo spirito dell’iniziativa la ministra delle Riforme si è limitata a elogiare lo spirito dell’iniziativa ma «ha sostenuto che non è una questione di cui si può fare e si farà promotore il governo».

Oltre Magi anche Nencini ci spera ancora: «Mi auguro che dal Pd provenga una benevola Convegno Cisl Maria Elena Boschi e Debora Serracchia­ni ieri a Roma al convegno sulle riforme costituzio­nali

(LaPresse) disattenzi­one».

Una sponda governativ­a alle istanze dei Radicali arriva dal sottosegre­tario agli Esteri Benedetto Della Vedova. In una nota Della Vedova afferma che «anche per assenza di precedenti ritengo giusto consentire di sottoporre alla Corte di Cassazione l’ipotesi di quesiti referendar­i plurimi sui differenti aspetti della riforma e lasciare alla Consulta di pronunciar­si sulla ammissibil­ità».

Ad ogni modo l’operazione «spacchetta­mento» di fatto non ha conquistat­o le truppe parlamenta­ri di Matteo Renzi. Per il Pd il referendum costituzio­nale non si tocca. A dirlo è stato il presidente dei senatori Luigi Zanda. Che in una intervista all’Huffington Post ha confermato in maniera chiara che «il gruppo Pd al Senato non raccoglier­à le firme». Perché, spiega Zanda, «con più quesiti potrebbe raggiunger­si un esito bizzarro: ad esempio, se dividi la riforma in più parti può succedere che venga approvato il nuovo Senato e bocciata la possibilit­à che a dare la fiducia sia una sola Camera».

Sulla linea di Zanda il Pd è compatto non solo al Senato ma anche a Montecitor­io. Anche se cercano di evitare l’argomento in Transatlan­tico più di un parlamenta­re dem si esprime in questi termini: «Non esiste un ordine di scuderia però il respiro complessiv­o del referendum si dà con un sì o con un no. Spiegare la riforma costituzio­nale complessiv­amente è un conto, spiegarla in cinque quesiti è un altro».

Intanto continua il dibattito sulla riapertura dell’Italicum. I due capigruppo di Forza Italia Paolo Romani e Renato Brunetta fanno sapere che le modifiche alle legge elettorale si potranno fare «solo dopo la consultazi­one referendar­ia sulla Costituzio­ne».

L’incontro

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